Made in Italy, il lungo addio

È lo scempio industriale dell’Italia cominciato già a fine Anni ’80, con il tragico percorso del glorioso Made in Italy che finisce divorato poco alla volta come la carne di Prometeo, per colpa della irrisolta debolezza del capitalismo italiano: chiuso, povero di risorse e spesso anche di idee. Il capitalismo asfittico di quelli che un tempo si definivano i “salotti buoni”, che ha perso troppe sfide industriali, dalla chimica alla siderurgia, dall’informatica all’alimentare alle telecomunicazioni. Complice la storica debolezza della Politica.

Una ecatombe in cui la Francia ha fatto e fa — e farà — la parte del leone (con il corpo da avvoltoio): energia, industria, comunicazioni, media, banche, assicurazioni, lusso… non c’è settore dell’economia e della finanza italiana in cui i francesi non abbiano un ruolo da protagonisti conquistato con perseveranza e determinazione. Per mettere le mani su Edison, per esempio, il gigante energetico pubblico Électricité de France (Edf) si batté per ben dieci anni: era una gallina dalle uova d’oro per la quale, solo recentemente, Edf ha valutato la cessione. Non senza coinvolgere il premier Matteo Renzi che, alla fine del 2015, fece sapere di essere in contatto direttamente con l’Eliseo per discutere il dossier. L’energia è del resto un tema strategico, ma non è il solo argomento che anima le discussioni fra Roma e Parigi.

Non a caso nel marzo 2016 Hollande e Renzi tornarono a parlare di consolidamento industriale europeo finalizzato a competere in un contesto globale. In linea di principio il discorso non fa una piega: ma poi si scontra con le ambizioni colonizzatrici francesi e con vecchi pregiudizi di un’Europa tutta da costruire: da Parigi raramente l’Italia viene vista come un partner (vedi vicende del 2017 con Macron e i cantieri Etf), ma è piuttosto un interessante mercato con pezzi pregiati in vendita a prezzi stracciati. Lo sa bene il finanziere bretone Vincent Bolloré che, dopo essere diventato il primo socio privato di Mediobanca, affidò la guida della controllata Generali al suo uomo di fiducia, Philippe Donnet. Non solo: divenne il primo azionista di Telecom Italia attraverso la controllata Vivendi e orchestrò uno scambio azionario con la Mediaset di Silvio Berlusconi ricevendo in dote (per poi rigettare malamente, finendo in tribunale) la pay-tv Premium.

In ordine temporale, Bolloré è però solo l’ultimo predatore francese che si lancia in acquisizioni dalle alterne fortune per le aziende italiane. Il caso di Parmalat è forse emblematico: la società venne comprata nel 2011 dalla Lactalis della famiglia Besnier in un’operazione ancora oggi contestata dai soci di minoranza di Collecchio e foriera di pesanti tensioni sociali per le promesse mancate sugli investimenti.

È andata meglio in campo finanziario, dove pure non sono mancati i raid delle banche d’Oltralpe per conquistarsi un posto in quello che è uno dei mercati più redditizi d’Europa. Nel 2006, per esempio, Bnp Paribas non ci pensò due volte a lanciare un’offerta sulla Bnl strappandola agli spagnoli del Bilbao. Solo un anno dopo, arrivò in Italia anche il Crédit Agricole, che, dopo essere stato a lungo socio di Intesa, acquistò Cariparma e Friuladria. Ma è nel lusso che i francesi non hanno badato a spese comprando il meglio del made in Italy. Negli anni il gigante Lvmh del miliardario Bernard Arnault ha conquistato i gioielli di Bulgari, le pellicce Fendi, le geometriche stoffe di Emilio Pucci, le scarpe Olga Berluti, il cachemire di Loro Piana e i profumi Acqua di Parma. Non è stato da meno il suo diretto rivale Kering (ex Ppr) del magnate François Pinault che ha collezionato i vestiti da uomo Brioni, la pelletteria e la moda firmata Gucci e Bottega Veneta, i gioielli Pomellato e Dodo. Una sfilata di creatività e di storia italiana che macina utili nelle tasche dei francesi. Esattamente come ha fatto Fiat Ferroviaria che, ideatrice del “Pendolino”, venne ceduta dal Lingotto alla francese Alstom. La stessa da cui oggi le Ferrovie Italiane e la Nuovo Trasporto Viaggiatori comprano i treni veloci.

Un capitolo a parte occupano le fusioni, che non possono essere inserite né nella colonna delle conquiste francesi né in quella delle conquiste italiane. Parliamo in particolare di quella tra Essilor e Luxottica di Del Vecchio, del valore di 25,6 miliardi di euro, che ha avuto luogo nel 2018, e di quella tra FCA Auto e PSA, da 19,8 miliardi, che nel 2021 ha fatto nascere il gruppo Stellantis, oggi uno dei principali player globali dell’automotive.
La grandissima parte degli investimenti francesi in Italia, tuttavia, ha coinvolto realtà più piccole, sconosciute ai più. Nel 2020 secondo Istat erano 2.074 le aziende italiane controllate da imprenditori o gruppi francesi. Complessivamente occupavano a quella data 290.269 addetti, solo le aziende di proprietà americana hanno più dipendenti tra quelle a controllo estero in Italia.
La presenza francese supera quella di tutti gli altri Paesi nel settore dell’industria dell’energia e del commercio. In questi due ambiti Parigi è prima quanto a numero di lavoratori occupati in imprese di proprietà straniera.
Il fatturato generato dalle aziende a controllo francese ammonta in totale a più di 52 miliardi di euro (21,2 miliardi di valore aggiunto, con 724 milioni destinati a spese di ricerca e sviluppo). Si tratta, però, dei dati dell’anno più negativo dal Dopoguerra, se considerassimo il 2019 le cifre sarebbero diverse. Prima della pandemia Covid, infatti, i ricavi erano stati di 111,1 miliardi e il valore aggiunto di 25,9.
Rimane il dubbio: tali imprese senza l’intervento francese avrebbero vissuto un declino irreversibile? O avrebbero avuto performance migliori se il controllo fosse stato italiano? Sarebbero stati occupati più addetti? Sarebbero stati realizzati più investimenti, evitando, magari, che alcuni fossero deviati dalle aziende capogruppo verso la Francia?

(Legenda: le voci in colore verde si riferiscono al comparto agroalimentare)

2022
Autogrill. La famiglia Benetton cede al colosso elvetico dei duty free Dufry lo storico marchio della ristorazione italiana che opera in aeroporti e autostrade. Nasce un colosso da 12 miliardi di ricavi che opererà in un mercato potenziale da 105 miliardi (più di quattro volte quello della ristorazione in cui opera Autogrill), unendo i negozi aeroportuali e non solo di Dufry, e avrà un’esposizione a 2,3 miliardi di viaggiatori. Il gruppo (che avrà un nuovo nome) sarà quotato alla Borsa di Zurigo: per Piazza Affari, un altro addio eccellente. Tuttavia servirà del tempo per l’approvazione di Palazzo Chigi (che valuterà se usare i poteri del “golden power”) e l’imprimatur di una manciata di autorità antitrust sparse per il mondo.
Irca. L’Italia dice addio alla proprietà di un’azienda con storia ultracentenaria, attiva nella produzione di ingredienti specializzati per pasticceria, panificazione e gelateria: Irca in aprile viene venduta da Carlyle, fondo internazionale di asset management (assistito da Rothschild, BNP Paribas e Latham & Watkins), che vi aveva investito a partire dal 2017, alla società di private equity globale Advent International. Un accordo da un miliardo di euro per la transazione dell’attività gallaratese leader negli ingredienti e preparati con un portafoglio di prodotti che spazia da creme, cioccolati e decorazioni, ai preparati per torte e lievitati, basi per gelato, variegati e guarnizioni. Irca ha sede a Gallarate (Varese), impiega oltre mille persone, fattura 365 milioni di euro e supporta chef in oltre 100 Paesi con sette impianti di produzione e quattro laboratori per lo sviluppo e l’innovazione in Europa, Nord America e Asia.
Biofarma. Il nostro medicale e farmaceutico fa gola Oltralpe: la francese Ardian acquisisce da White Bridge Investments la maggioranza di Biofarma Group, specializzato in Italia e in Europa nello sviluppo e nella produzione di integratori alimentari, dispositivi medici, prodotti a base di probiotici e cosmetici. Un colpo da €1,1 miliardi.

2021
Lifebrain. I nostri più grandi laboratori passano in mano francese. La società di investimento a gestione indipendente Investindustrial VI L.P. (“Fondo VI” o il “Fondo”) ha raggiunto un accordo — da 2,1 miliardi — per la vendita della sua intera quota in Lifebrain alla francese Cerba HealthCare, player leader nella diagnostica ambulatoriale.
Eolo. Luglio: un’altra grande azienda italiana delle telecomunicazioni finisce nelle mani di investitori stranieri. Stavolta tocca a Eolo, società di Busto Arsizio che opera nella banda larga, che viene rilevata per il 75% dagli svizzeri del Partners Group, società di investimenti con quartier generale a Zurigo in Svizzera, 1.500 dipendenti, un portafoglio di partecipazioni da 150 miliardi di dollari. Il fondatore Luca Spada resta nell’azionariato con una quota di minoranza.
Creval. Rilevante l’assorbimento di Creval da parte di Credit Agricole, per 840 milioni. La banca francese è da tempo molto attiva in Italia: nel 2007 ha comprato Cariparma da Banca Intesa e nell’ultimo decennio anche la Cassa di Risparmio della Spezia, quella di Rimini, di San Miniato e di Cesena. Sono tutte entrate a far parte di Credit Agricole Italia, una delle realtà più importanti del settore bancario italiano — ma in mano straniera. E nel 2017 Amundi (dello stesso gruppo Credit Agricole) aveva acquisito Pioneer Investment per 3,545 miliardi.

2019
Cavalli. Novembre: dopo un anno di relativa calma, riparte il saccheggio. Si chiude ufficialmente l’acquisizione del marchio di moda Roberto Cavalli da parte di Hussain Sajwani, presidente della DAMAC Properties, con sede a Dubai negli Emirati Arabi Uniti, miglior offerente tra chi si stava contendendo il brand, in precedenza controllato dal fondo di private equity italiano Clessidra.

2018
Magneti Marelli. Ottobre. Il gruppo Fiat/FCA vende lo storico marchio di componentistica auto a Calsonic Kansei, società del settore automotive con sede in Giappone, in un’operazione dal valore di 6,2 miliardi.
Candy. Settembre: il gruppo cinese Qindao Hayer quotato alla Borsa di Shangai — in pratica “Haier”, quel brand che vediamo da qualche anno circolare sempre di più dalle nostre parti sui climatizzatori — mette le mani sullo storico marchio di elettrodomestici Candy per 475 milioni di euro. Il gruppo italiano era nato nel 1945 a Monza col nome Officine Meccaniche Eden Fumagalli; l’anno seguente alla Fiera di Milano venne presentato il primo esemplare di lavatrice Candy, Made in Italy. I fratelli Aldo e Beppe Fumagalli controllavano il 90% dell’azienda.
Versace, Settembre: va agli americani di Michael Kors per 1,83 miliardi la storica maison di moda fondata dal genio calabrese Gianni Versace, scomparso tragicamente nel 1997. Il gruppo USA rileva la totalità delle azioni, prima in mano per l’80% alla famiglia Versace e per il 20% al fondo Blackstone. Nella transazione la famiglia riceve 150 milioni di euro del prezzo di acquisto in azioni di Capri Holdings Limited, il nuovo nome che viene adottato da Michael Kors Holdings Limited alla chiusura dell’acquisizione. Donatella Versace resta direttore creativo del gruppo.
Cuki e Domopak. Luglio. La multinazionale tedesca Melitta Group acquisisce il 100% di Cuki, società piemontese attiva nel settore del packaging alimentare con i famosi marchi Cuki e Domopak. Il Gruppo Cuki nel 2017 ha realizzato un fatturato di 200 milioni di euro, di cui un quarto all’estero, e occupa 503 persone, di cui 376 addetti in Italia e 127 addetti nelle proprie strutture in Francia, Turchia e Polonia.
Recordati
. Giugno: Un’altra famiglia italiana che passa la mano. E un’azienda, la Recordati, gruppo farmaceutico quotato sul Ftse Mib, dove capitalizza 7,1 miliardi, che diventa proprietà di un fondo di private equity — investitori che per lavoro rilevano imprese per valorizzarle e poi cederle ad altri —. Fondata nel 1926 a Correggio in provincia di Reggio Emilia, la Recordati parte da una farmacia col suo laboratorio per diventare l’odierna società da €1,28 miliardi di ricavi. La famiglia Recordati ora ha venduto il 51% delle azioni al Fondo CVC per tre miliardi di euro.
La Perla, azienda di moda fondata nel 1954 da Ada Masotti, passa a Sapinda Holding, società olandese di proprietà del finanziere tedesco Lars Windhorst.
Yoox, una delle più riuscite “dotcom”, fondata da Federico Marchetti nel 2000, viene acquistata da Richemont (Svizzera) per €2,7 miliardi.

2017
Fedrigoni. Dicembre: anche la storica carta di Fabriano passa di mano. Bain Capital Private Equity firma un accordo per l’acquisizione di Fedrigoni, tra i maggiori produttori a livello mondiale di carte speciali e prodotti autoadesivi per l’etichettatura. La famiglia Fedrigoni mantiene una partecipazione di minoranza nel capitale della società: il valore dell’operazione è di 650 milioni di euro.
Acetum. Settembre: l’azienda leader nella produzione e nella distribuzione dell’aceto balsamico di Modena finisce al gruppo internazionale britannico Associated British Food, che vanta un fatturato di 13,4 miliardi di sterline e 130.000 dipendenti in 50 Paesi diversi, attraverso il fondo Clessidra, che nel 2015 aveva acquisito l’80% di Acetum.

2016
Eridania. Luglio: lo storico zuccherificio genovese fondato nel 1899 passa di mano. I soci del gruppo Maccaferri vendono la propria metà ai francesi di Cristal Union, che dal 2010 già possiedono una partecipazione paritetica.
Birra Peroni. Aprile: il marchio tricolore non era già più del tutto italiano, ok. Ma ora diventa tutto giapponese: Asahi acquista la storica bionda per 2,55 miliardi di euro. Peroni fu fondata nel 1846 a Vigevano da Francesco Peroni e venne rilevata nel maggio 2003 da SabMiller; è forte all’estero, grazie al marchio premium Nastro Azzurro, ma soprattutto produce il 70% dei 4,8 milioni di ettolitri di birra con orzo coltivato in Italia.

2015
Grom. Ottobre: il marchio torinese delle gelaterie passa a Unilever. Dopo aver dovuto rinunciare alla definizione di “artigianale” perché nonostante l’alta qualità il gelato non è fresco (prodotto in provincia di Torino per poi essere distribuito in tutto il mondo), oggi i due fondatori cedono il passo a un colosso andando a infoltire la selva di marchi in mano alla multinazionale che controlla già Algida con i marchi, tra gli altri, di Cornetto e Magnum.
Italcementi. Luglio: questa volta a comprare non sono i francesi bensì i tedeschi. Il leader italiano del calcestruzzo, uno delle principali società di Piazza Affari, passa ai suoi concorrenti tedeschi del gruppo Heidelberg Cement, che raggiunge un accordo con Italmobiliare, la finanziaria della famiglia Pesenti, per rilevare la sua quota pari al 45% del capitale. Nasce il primo gruppo mondiale del settore. Ma batte bandiera tedesca.
Pirelli. Marzo: il colosso cinese ChemChina prende il controllo di una delle più famose, storiche aziende italiane, Pininfarina. Negli stessi giorni, la gloriosa casa del design automobilistico, dalle cui scrivanie sono nati miti quali le Ferrari 250 Gt, l’Alfa Giulietta Sport o la Testarossa, finisce nel mirino del gruppo indiano Mahindra&Mahindra.

2014
Dainese. Novembre: agli stranieri anche il celebre marchio dell’abbigliamento per motociclisti fondato nel 1972, che con il brand Agv è pure tra i più importanti produttori mondiali di caschi; pacchetto di controllo al fondo Investcorp (Bahrain) per 130 milioni di euro.
Indesit. Luglio: la storica azienda marchigiana di elettrodomestici passa agli Americani. Gruppo Merloni vende a Whirlpool il 60% delle azioni per 758 milioni.
Pasta di Gragnano. L’antico Pastificio Lucio Garofalo cede il 52% del capitale a Ebro Foods, la potente spagnola dell’agroalimentare, per 52mio.
Krizia (anno di fondazione 1955, by Mariuccia Mandelli): il famoso marchio di moda è venduto ai cinesi di Shenzhen Marisfrolg.

2013
Loro Piana. Ora in mano francese, LVMH. Prezzo: €2 miliardi.
Pomellato. Non solo Lvmh: il colosso transalpino del lusso Kering, già proprietario in Italia di Gucci (dal 1999) e Bottega Veneta, prende la quota di maggioranza della nota azienda di gioielli.
Pernigotti. I cioccolatini finiscono ai turchi di Sanset (famiglia Toksoz).
Dada. Uno dei content provider pionieri del web, leader internazionale nei servizi professionali digitali, viene ceduto da RCS all’egiziano Sawiris, Orascom Tmt Investments.
Chianti classico. Per la prima volta un imprenditore cinese ha acquistato una azienda agricola del Gallo Nero.
Riso Scotti. Il 25% è stato acquisito dalla società alla multinazionale spagnola Ebro Foods.

2012
Edison. Febbraio: il colosso energetico francese EDF acquisisce la prima (in senso storico) società elettrica del nostro Paese.
Valentino. Il famoso brand di alta moda passa agli stranieri dopo un giro vorticoso. Nel 1998 Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, a lungo suo compagno ed entrato sin dall’inizio nella società, vendono l’azienda al gruppo Hdp controllato in parte da Gianni Agnelli, che nel 2002 la cede al gruppo Marzotto. Nel 2012 viene acquistata da Mayhoola for Investments, Qatar.
Lumberjack. L’azienda di Verona che produce scarpe casual e sportive è finita nel portafoglio della società turca Ziylan.
Ducati. Acquisita da Audi/Volkswagen, tedesca.
Pelati AR – Antonino Russo. I pomodori pelati del gruppo, primo produttore italiano, venduti alla società anglo-giapponese Princes, controllata dalla Mitsubishi.
Star. Passata al 75% nelle mani spagnole del gruppo agroalimentare di Barcellona Gallina Blanca.
Eskigel. Produce gelati in vaschetta per la grande distribuzione — Panorama, Pam, Carrefour, Auchan, Conad, Coop —. Ceduta agli inglesi con azioni in pegno a un pool di banche.
Brioni, storico marchio della moda italiana (fondazione 1945), passa ai francesi di Kering per 350 milioni.
Miss Sixty, giovane maison di moda (1991), passa ai cinesi di Crescent HydePark.

2011
Bulgari. Acquisita da LVMH.
COIN. Comprata dagli inglesi di BC Partners.
Rinascente. Passata ai thailandesi di Central Retail Corp.
Ferrè. Il brand dello stilista Gianfranco, morto nel 2007, è acquistato dai francesi di Paris Group.
Parmalat. Acquisita dalla francese Lactalis.
Gancia. Acquisita al 70% dall’oligarca russo Rustam Tariko.
Fiorucci salumi. Acquisita dalla spagnola Campofrio Food Holding.

2010
Findus, surgelati. Acquisita da Birds Eye Iglo Group, inglese.
Boschetti alimentare. Cessione alla francese Financière Lubersac, che detiene il 95%.
Ferrari Giovanni Industria Casearia. Ceduto il 27% alla francese Bongrain Europe.

2009
Delverde. La società della pasta è divenuta di proprietà della spagnola Molinos Delplata che fa parte del gruppo argentino Molinos Rio de la Plata.

2008
Bertolli. Venduta a Unilever, poi acquisita dal gruppo spagnolo Sos.
Rigamonti salumificio. Divenuta di proprietà dei brasiliani attraverso la società olandese Hitaholb international.
Orzo Bimbo. Acquisita da Nutrition&Santè del gruppo Novartis.
Italpizza. Ceduta all’inglese Bakkavor Acquisitions Limited.

2007
Cariparma, Friuladria (202 sportelli). Cedute da Banca Intesa ai francesi di Credit Agricole.
Fastweb. Acquisita dagli svizzeri di Swisscom.
Omnitel. Acquisita dagli inglesi di Vodafone.

2006
BNL. Banca acquisita dai francesi di BNP Paribas.
Antonveneta. Altra banca italiana in mani straniere: agli olandesi di ABN/Amro (dal maggio 2008 rivenduta al Monte dei Paschi di Siena a un prezzo esorbitante e fuori mercato — e questa non è “un’altra storia”, è proprio “la solita storia”!).
Galbani. Acquisita dalla francese Lactalis.
Olio Carapelli. Acquisita dal gruppo spagnolo Sos.
Olio Sasso. Acquisita dal gruppo spagnolo Sos.
Fattorie Scaldasole. Venduta a Heinz, poi acquisita dalla francese Andros.
Gardaland. Acquisita da Blackstone, americana.

2005
RAS assicurazioni. Acquisita da Allianz (Germania).
Lucchini. Acquisita dalla russa Severstal.
Mellin. Acquisita dagli olandesi di Numico.
Fiorucci. Fondata da Elio Fiorucci nel 1967, nel 1989 venne comprata dai fratelli Tacchella di Carrera Jeans, poi dalla società giapponese Edwin International, che la vendette a Itochu Corporation, altra azienda giapponese, nel 2014. Nel 2015 viene acquisita da Janie e Stephen Schaffer, fondatori del marchio di intimo Knickerbox, gruppo di moda infine acquisito dagli americani di Vestar Capital.
Wind. Gruppo telco ceduto da ENEL all’egiziano Naguib Sawiris (e poi da questo a una società russa).

2003
Birra Peroni. Maggioranza acquisita dall’azienda sudafricana SabMiller. (Nel 2016 la Peroni diverrà tutta straniera, vedi sopra.)
Invernizzi, latticini e formaggi. Acquisita dalla francese Lactalis, dopo che nel 1985 era passata alla Kraft.
Fila. Marchio sportivo passato in mani statunitensi (SportBrand International, Fondo Cerberus).

2002
Ferretti. Passata a Impe Lux/Permira, Gran Bretagna.
UniEuro. Acquisita da Dixons, Gran Bretagna.

2001
Acqua di Parma. Nel 1916 il barone Carlo Magnani commissionò a un maestro profumiere la creazione del famoso profumo: nel 2001 l’azienda è passata ai francesi di LVMH.
Fendi, fondata nel 1925 da Adele Casagrande con il marito Edoardo Fendi, passa alla solita LVMH (Francia). Le sorelle Fendi, le cinque figlie dei fondatori che gestivano l’azienda dal 1946, vendono il 51 per cento a una joint venture tra il gruppo del lusso francese LVMH e Prada per 850 milioni di dollari; nel 2001 LVMH rileva la quota di Prada finendo per avere la maggioranza di Fendi, pari all’83%.

2000
Supermercati GS. Carrefour, francese, secondo gruppo mondiale della grande distribuzione, acquisisce il 100% del trader italiano.
Emilio Pucci, altro storico marchio di moda (anno di fondazione 1950), passa per due terzi — neanche a dirlo — a LVMH.

1998
Locatelli, latticini e formaggi. Venduta a Nestlè, poi acquisita dalla francese Lactalis.
San Pellegrino, gruppo acque minerali (detiene anche marchio Levissima). Acquisita dalla svizzera Nestlè.

1997
Bianchi biciclette. In maggio la storica bicicletta di Coppi e Bartali entra a far parte del gruppo svedese Cycleurope AB, la più importante azienda mondiale del settore ciclistico.

1995
Stock liquori. Venduta alla tedesca Eckes a.G., poi acquisita dagli americani della Oaktree Capital Management.

1993
Antica Gelateria del Corso e Valle degli Orti. Acquisiti dalla svizzera Nestlè.

1988
Buitoni. Acquisita dalla svizzera Nestlè.
Perugina. Acquisita dalla svizzera Nestlè.