Quando i fatti smentiscono la sua teoria, lo scienziato accantona la teoria, il complottista accantona i fatti

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In fin dei conti è davvero un problema di maturità e serietà, non di libertà.
La nostra attitudine di popolo a mettere in fila le cose importanti lascia moltissimo a desiderare.
Il Green Pass non è necessario: di più. È essenziale per non ricominciare daccapo con le chiusure. Non potremmo resistere a una terza serie consecutiva di esercizi commerciali con le saracinesche abbassate e studenti a casa in “dad”.

Vivere in una società, l’aver fatto cioè un patto sociale, implica già diverse limitazioni alle libertà personali.
La “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 1789, il testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione Francese e che ancora oggi viene usato come modello quando si parla di Diritti Umani, contiene una solenne elencazione di diritti fondamentali e all’articolo 4 dice:

«La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Tali limiti possono essere determinati solo dalla Legge».

La “limitazione della libertà personale” in vista del bene altrui è il principio fondativo e costitutivo del liberalismo (da non confondere con il liberismo, che è ben altro), non del totalitarismo. Il liberalismo, dottrina fondativa della cultura europea, si basa sul principio che la libertà di ciascuno si esercita entro i limiti del rispetto dell’altrui libertà e incolumità.
In sostanza, l’essere vaccinati contro Covid-19 rappresenta un dovere di comunità proprio come ne esistono molti altri. Il pass sanitario è dunque “discriminatorio” quanto il Codice della Strada, che vieta di guidare senza patente o in stato di ebbrezza. E questo ragionamento è tanto più valido quando si tratta di salute pubblica.
Infatti la salute non è solo un problema individuale ma anche un problema pubblico. La storia della sanità pubblica è fatta di misure collettive, finalizzate all’interesse generale e talvolta restrittive delle libertà individuali. Come quando dopo Chernobyl in mezza Europa non potemmo stare all’aria aperta o consumare prodotti agricoli. O come per gli abitanti di Seveso e dintorni che affrontarono chiusi in casa la mortale nube di diossina nel 1976. Oppure come con l’epidemia di colera a Napoli nel 1973 — quando la gente scese in piazza a reclamarli, i vaccini (!).

L’argomento della “libertà individuale” è spesso brandito senza che ci si renda conto delle sue implicazioni: il nostro comportamento individuale ha sempre un impatto, e se la mia libertà individuale comporta il danneggiare gli altri, allora la comunità di cui faccio parte sarà sempre pronta a limitarla, questa mia libertà.

L’altra parallela argomentazione che «non c’è bisogno di vaccinarsi perché altri lo faranno per me», e quindi potrò comunque beneficiare dell’immunità collettiva, non è solo vigliacca e ipocrita, è deleteria. Se tutti agissero secondo la stessa massima di rifiutare il vaccino perché lo fanno altri al posto nostro, allora nessuno si farebbe vaccinare: il virus sarebbe liberissimo di circolare e modificarsi (come sta già facendo pericolosamente) e non usciremmo più dalla pandemia — o forse ne usciremmo ma solo dopo aver accumulato centinaia di milioni di morti.

«Cadere nella trappola del pass sanitario, che è sorveglianza digitale di massa, e della vaccinazione obbligatoria per salvare la gente significa dimenticare che se Covid può essere fatale è anche perché i governi, uno dopo l’altro, hanno messo sotto pressione gli ospedali, licenziato il personale sanitario, soppresso posti-letto, spinto medici e chirurghi alla rassegnazione o al suicidio perché nel capitalismo neoliberale è diventato impossibile occuparsi dei pazienti in modo corretto».
Questo ulteriore, subdolo ragionamento, che pure ha qualche base condivisibile, mescola situazioni differenti (neoliberismo e cure e prevenzione, o sorveglianza digitale e ospedali e vaccinazione, con quest’ultima che peraltro non è universalmente obbligatoria) in un unico calderone e soprattutto dimentica che con Covid non parliamo di dieci, cento, mille posti-letto ma di MILIONI. Nemmeno una Sanità non “distrutta dal capitalismo neoliberale” avrebbe potuto resistere — come in effetti non ha resistito: basta guardare da marzo 2020 a oggi i numeri impietosi in Germania, che pure di posti-letto, personale ospedaliero e attrezzature abbondava e abbonda.

L’equivoco “Scienza = Potere cui ribellarsi”

Mai abbiamo desiderato tanto qualcosa dalla Scienza e dagli scienziati, come è successo con i vaccini contro la Covid. Con scoramento e rassegnazione, in quel triste 2020, pensavamo: «Chissà quando arriveranno: due anni?, tre?, cinque?… E fino ad allora, che faremo? Chiusi in casa?»
Invece i vaccini sono arrivati in meno di un anno. Grazie a uno sforzo scientifico (costoso) che l’umanità non aveva mai conosciuto prima. Una specie di miracolo. La nostra reazione? Da non credersi: «È un trucco!», «È un complotto di Big Pharma!», «I rettiliani!», «È un subdolo piano per controllarci!», «Ci iniettano microchip!», «la Covid non esiste!», «il virus non esiste!»… Una bomba atomica di idiozia. Esplosa quasi in ciascun Paese sviluppato (sic!).
Nei Paesi “non sviluppati” non è accaduto nulla del genere, ovviamente: quelli non ce li hanno proprio, i vaccini. Vanno dritti verso il baratro senza poter esprimere una sillaba. (E ci trascineranno con loro, dal momento che, libero di moltiplicarsi e mutare, prima o poi il SARS-CoV-2 assumerà la mutazione finale resistente a qualsiasi vaccino.)

L’identificazione della Scienza come centro di potere ha radici profonde e il fenomeno dei no-vax e dei no-pass è solo l’ultima delle sue manifestazioni. Da decenni c’è una diffusa e inquieta diffidenza nei confronti del sapere scientifico. Limitandosi al campo medico, basti ricordare la popolarità della cosiddetta CAM (Medicina Complementare e Alternativa), di efficacia mai dimostrata, e il mito secondo il quale tutto ciò che è naturale è buono, mentre ciò che è creato dall’uomo (e quindi dalla scienza) è inevitabilmente dannoso.
Non è un caso che l’opposizione ai vaccini sia particolarmente diffusa proprio tra coloro che si affidano alle medicine alternative e ai rimedi naturali, e ciò vale anche per i medici: la gran parte degli omeopati sono no-vax.

La prova? Ce l’abbiamo in casa: il Trentino-Alto Adige.
Pur essendo una regione ai primi posti in Italia per efficienza e qualità del sistema sanitario, sul piano di immunizzazione anti-Covid in nessuna fascia di età le province autonome di Bolzano e Trento riescono a fare meglio della media nazionale. A Trento il 57,03% dei cittadini ha ottenuto la prima dose contro una media nazionale al 62,96%; Bolzano invece è al 54,17%. A metà luglio 2021, Trento è l’unica area in Italia a non aver ancora raggiunto il 50% della popolazione completamente vaccinata.
L’Alto Adige è sempre stata una provincia a forte tendenza antivaccinista: già nel 2014 si rilevava che il tasso di vaccinazione per il morbillo era al 68%. Su tutte le vaccinazioni obbligatorie si mantiene sempre più basso rispetto al resto d’Italia. In generale c’è una scarsa fiducia nei confronti del vaccino, che qui sembra incidere di più rispetto ad altre zone d’Italia. Lo si vede per esempio dall’alto numero di operatori sanitari non ancora vaccinati.

Potrebbe venir facile rubricare il tutto alla voce antimodernismo tradizionalista, richiamando l’abusata figura di Andreas Hofer, l’eroe della piccola patria sudtirolese: l’oste della val Passiria che condusse contadini e montanari alla battaglia contro le truppe napoleoniche, nel nome di Dio. Quell’Hofer che incitava a sottrarsi alla vaccinazione contro il vaiolo varata dal governo bavarese (primo al mondo a imporlo), spronato nel rifiuto dal suo primo consigliere, il frate cappuccino Joachim Haspinger, per il quale gli uomini non avevano il diritto d’intromettersi nei piani divini ostacolando la nascita di nuovi angeli in cielo.
Come sempre in Sudtirolo, tutto ha a che fare con il concetto di Heimat, ma il termine ha una valenza a cui il nostro “patria” non rende giustizia: in questo caso infatti la declinazione politica non c’entra. È un termine in cui trovano posto da un lato la voglia di isolamento perfettamente rappresentata dalle percentuali record di non vaccinati proprio nelle zone più impervie (val Passiria, val d’Ultimo), con l’illusione del «quassù ci conosciamo tutti, siamo immersi nella natura e non ci succederà niente»; dall’altro, la sensazione di vivere comunque in un’autonomia che si autogoverna con proprie leggi, migliori di quelle di Roma.
C’è anche il concetto di Sonderweg, via alternativa, il voler trovare comunque una direzione diversa rispetto alle quelle centraliste, a prescindere dal fatto che queste arrivino da Roma, Vienna o Berlino: l’illusione di poter giocarsela da soli, la fiducia nelle risorse autonome della piccola comunità che si autocontrolla rispetto ai grandi traffici della globalizzazione.
Tuttavia c’entra soprattutto un fenomeno del tutto moderno, che per esempio in Germania è molto forte e che costituisce il fulcro dei movimenti dell’area ambientalista, ma che al tempo stesso è molto difficile da definire: in sostanza, una filosofia di vita molto legata al rispetto dell’ambiente e alla visione di un modo alternativo di concepire il rapporto tra corpo e mente. E dunque di concepire la medicina.

In relazione a quest’ultimo principio, decondo Claudio Volanti, presidente dell’Ordine dei Medici di Bolzano, questa situazione di anomalia vaccinale deriverebbe da una crescente fiducia nella medicina alternativa. «C’è ancora la convinzione che la medicina tradizionale abbia qualcosa in meno, lo dimostra il fatto che il bilancio delle aziende che vendono prodotti omeopatici è sempre molto alto», ha detto. «Ricordo che la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi riconosce la medicina complementare, o non convenzionale, ma non quella alternativa, praticata da molti sanitari qui in Alto Adige».
«Non possiamo imputare nulla alla macchina organizzativa», ha detto Antonio Ferro, direttore generale dell’azienda sanitaria del Trentino, in un’intervista al Corriere del Trentino. «È un problema per lo più culturale. Da noi ci sono più soggetti legati al mondo dell’omeopatia, siamo una delle province in Italia che consuma meno farmaci: e se questo [da un lato] è un bene, [dall’altro] il salutismo porta a far pensare erroneamente che il corpo risponda ugualmente e non serva vaccinarsi».

L’identificazione della Scienza con il Potere, tuttavia, è una fesseria colossale e andrebbe una buona volta smontata. La Scienza, per sua stessa natura, è quanto di più lontano possa esistere dal Potere. La scienza moderna nasce proprio storicamente dal rifiuto di ogni principio di autorità e tale rifiuto caratterizza costantemente l’attività scientifica. Qualsiasi affermazione viene valutata per quello che è, indipendentemente da chi l’ha pronunciata: nella comunità scientifica è normale che anche un giovane ricercatore possa contraddire le affermazioni di un autorevole premio Nobel, purché abbia valide argomentazioni per farlo. Oltre al rifiuto di ogni principio di autorità, la Scienza è caratterizzata infatti dalla libera circolazione delle idee, dalla disponibilità al confronto e all’accettazione delle critiche.

Quando si dice che «la Scienza non è democratica», non si sta ovviamente parlando di dittatura sanitaria ma del fatto che «la velocità della luce non si stabilisce per alzata di mano», come direbbe Piero Angela.
Il metodo scientifico consiste innanzi tutto nel prendere atto dei FATTI, umilmente e senza alcun pregiudizio ideologico. E anche se i fatti possono contrastare con convinzioni diffuse e radicate o con le nostre idee pregresse, sono queste ultime a dover essere messe in discussione, non i fatti. Se questo atteggiamento venisse applicato in tutti gli ambiti umani, sicuramente le cose del mondo migliorerebbero in generale.

Il metodo scientifico

Si scrive “scienza”, ma si legge “metodo scientifico”: un metodo che può essere applicato a tutte le discipline, dall’entomologia alla medicina allo studio delle lingue antiche all’astrofisica. È il metodo che parte da un’ipotesi, poi identifica tutti gli esperimenti immaginabili per verificarla, che possono durare anche anni, infine raccoglie i dati e li rende pubblici, visibili, quindi ripetibili, scrutinati da milioni di occhi e menti in tutto il mondo per sancire o distruggere, attraverso esperimenti successivi e indipendenti, la validità di ogni scoperta. Se un pezzo di conoscenza non regge questo continuo esame, crolla e lascia spazio ai pezzi che resistono.
La Scienza, dunque, non è “la verità”, ma semplicemente un metodo per capire come stanno le cose, al meglio delle condizioni e delle possibilità date. È lo strumento che permette di consegnare a tutti i cittadini prove verificabili che non possono essere degradate a “opinioni”.

La Scienza è fatta più di fallimenti che di successi, fallire è indispensabile per capire quali strade di ricerca continuare a perseguire e quali no. È con la condivisione dei risultati, degli errori e dell’entusiasmo di chi fa ricerca che la Scienza conquista autorevolezza e fiducia e si consolida come patrimonio di tutti.

Bertrand Russell postulò l’esistenza di una teiera cinese che orbita intorno al Sole, tra Marte e la Terra, per spiegare che non può essere la Scienza a confutare questa proposta strampalata, e che non si può assumere sia vera in quanto non smentibile per via sperimentale. L’onere di dimostrare che una certa (strampalata) tesi sia vera ricade su chi la propone. Quando ci vengono esposte queste “teorie”, corredate da assunti inesistenti, invisibili, inverificabili, dei quali veniamo sfidati a fornire confutazione, siamo di fronte alla ciarlataneria.
Un ciarlatano annuncia — e spesso vende a caro prezzo — le sue mirabolanti “scoperte” e “cure” ma si guarda bene dal renderne pubblici e replicabili i meccanismi; lo scienziato, invece, deve raccogliere ogni elemento della sua ricerca, deve mettere i dati e i metodi su cui si è basata la ricerca a disposizione del resto della comunità scientifica; ogni micro-passo, ogni condizione di ogni esperimento deve essere registrata e codificata affinché poi in mano esperta sia ripetibile, in modo che altri possano verificarla.

Quando venne introdotto (18 marzo 1988), l’obbligo della cintura di sicurezza venne considerato da molti come una restrizione ingiustificata alle libertà individuali.
I detrattori della cintura parlavano tra l’altro delle lesioni — occasionali e non gravi, peraltro — che l’uso della cintura di sicurezza poteva provocare. Le proteste si fermarono di fronte alla realtà dei fatti: quando cioè ci si rese conto della significativa diminuzione delle vittime della strada.
Sia individualmente che collettivamente, indossare le cinture di sicurezza è ampiamente giustificato dalla combinazione di sostanziali vantaggi e bassissimi rischi: è questo che sta alla base, da un punto di vista morale, della legittimità di una misura di sanità pubblica che “limita le libertà individuali”.

Per quanto riguarda le vaccinazioni vale lo stesso ragionamento: i rischi che comportano sono (infinitamente) inferiori rispetto alle conseguenze provocate dalle malattie infettive dalle quali i vaccini, sia pure “imperfetti” ¹ come quelli attuali sviluppati di corsa, offrono protezione.

[ 1 = e tuttavia già qui andrebbe dimostrato quand’è che un vaccino o un qualunque medicinale è “perfetto”.]

Sono “nefaste pratiche discriminatorie” anche l’odiosa volontà (Legge 584/1975, poi Legge 3/2003 rafforzata dieci anni dopo con la “legge Sirchia”) di isolare i fumatori col divieto d’ingresso in cinema, teatri, ristoranti, caffè, treni, aeroporti, uffici, “ghettizzandoli” sui marciapiedi e in molti Paesi cacciandoli infine anche dai luoghi aperti? È “insopportabile regime dispotico” quello con cui in Italia si pretende un green pass chiamato burocraticamente “porto d’armi” per il libero cittadino (ridotto con ciò a suddito) che voglia girare con una P38 in tasca?

I dati delle ultime settimane sono costanti e inoppugnabili: contagi, ricoveri e morti dei non vaccinati sono, in proporzione al loro numero, dieci volte superiori a quelle dei vaccinati.
Come manda a dire Paolo Flores d’Arcais a Massimo Cacciari in una polemica di questi giorni d’estate, le democrazie nascono impegnandosi a garantire l’endiadi “vita e libertà” dei cittadini: ma che vita e che libertà sono garantite a cittadini costretti a rischiare, in ogni luogo pubblico chiuso — o all’aperto ma molto affollato —, l’alito impestato di chi per privata prepotenza non vuole prendere l’unica misura che abbatte tale rischio, il vaccino? Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha nulla di discriminatorio: è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri. Ai governi (il nostro compreso) si può e deve imputare semmai di non averla difesa e non difenderla abbastanza, questa comune libertà.

Tra l’altro è di per sé sorprendente che Massimo Cacciari — vale a dire non un incolto odiatore del web ma uno dei più illustri filosofi italiani — se ne esca con una domanda del genere: «Che in Israele e in Gran Bretagna molti dei decessi nell’ultimo periodo sono di persone che avevano già ricevuto la doppia dose è una fake news?»
Cacciari è una persona che certo non potrebbe mai passare per un ingenuo sempliciotto — né per curriculum né per carattere — da trattare con l’attenzione paternalistica che si deve alle persone di più modeste capacità e di più limitata istruzione. Eppure ha scritto un lungo (e subito contestatissimo) articolo sulla Stampa letteralmente infarcito dei peggiori paralogismi tipici della galassia no-vax. Fra cui appunto la domanda suddetta: che forse non è tecnicamente una fake news, ma di sicuro è una scemenza, non perché non sia vero il fatto, ma perché, messo in questi termini, il suo significato risulta completamente distorto, per la banale ragione che laddove (come in Israele e Gran Bretagna) i vaccinati sono la maggioranza, nella misura in cui i vaccini non offrono una protezione del cento per cento è inevitabile, matematico e previsto fin dall’inizio che, man mano che il numero dei vaccinati sale e quello dei non vaccinati scende, il numero dei decessi riguardi sempre di più persone vaccinate (ove tutta una popolazione fosse vaccinata, i morti sarebbero al 100% fra i vaccinati).
Seguendo la stessa logica di Cacciari, ci si potrebbe domandare se sia vero o no che moltissimi decessi avvengono in ospedale, o se sia o meno una fake news che moltissimi incidenti automobilistici coinvolgono guidatori che indossavano le cinture di sicurezza e motociclisti che indossavano il casco.
Il fatto che pure Cacciari inciampi rovinosamente in queste sciocchezze la dice purtroppo lunga, lunghissima, su come siamo conciati in questo Paese.

E purtroppo non è una botta di caldo isolata. Un altro stimato intellettuale, Giorgio Agamben, nella sua nota rubrica Quodlibet scrive: «La “tessera verde” costituisce coloro che ne sono privi in portatori di una stella gialla virtuale». Paragonando il Green Pass alle leggi razziali antisemite.
La tesi centrale, il punto di caduta del ragionamento, è che le normative contro gli ebrei e quella del pass sanitario sarebbero entrambe inaccettabili in quanto produttrici, l’una e l’altra, di discriminazioni tra esseri umani, «indipendentemente dalle ragioni addotte».

Ora, le limitazioni imposte dal Green Pass sono legittimamente discutibili e criticabili: tuttavia rientrano in scelte che cercano di rispondere a quella dialettica di per sé impossibilitata a produrre soluzioni definitive e propria delle democrazie, che è la dialettica tra libertà e sicurezza (latamente intesa, perché nella sicurezza rientra anche la salute pubblica). Che inevitabilmente, nelle sue oscillazioni che assumono la forma delle scelte politiche concrete a confronto, intacca spazi di libertà e rinuncia a garantire una completa sicurezza. La massimizzazione di un valore o dell’altro, semplicemente, distruggerebbe la comunità politica democratica.
Le discriminazioni all’inizio del processo della distruzione degli ebrei d’Europa, al contrario, rispondevano alla volontà di liberare le società interessate dalle “nefaste conseguenze”, così si riteneva, della presenza ebraica, dunque da quella stessa presenza. Sappiamo che il processo fu graduale, incrementale e anche caotico, che le soluzioni per le discriminazioni, le deportazioni, le uccisioni furono escogitate nelle contingenze, ma il motore primo di quel processo, Adolf Hitler, aveva già ben chiaro il suo obiettivo fin dal principio (è scritto nel Mein Kampf). Quello che accadde nei passaggi successivi non fu mera conseguenza di un processo incrementale erratico e inconsapevole, ma pur nella sua caoticità fu guidato dalla volontà di risolvere, una volta e per sempre, nell’orizzonte millenario del Reich, la “questione ebraica”. Per questo si arrivò alle camere a gas, agli eccidi delle Einsatzgruppen al seguito della Wermacht che procedeva verso Est, all’uccisione di sei milioni di ebrei. E le misure di Paesi in varie forme alleati rientravano in questo processo.
Non si giunse allo sterminio semplicemente perché si era cominciato a discriminare, perché di discriminazioni che non hanno portato a stermini è piena la Storia (nessuno in America, nemmeno i peggiori paranoici del Sud segregazionista, ha mai pensato a una Soluzione Finale per i neri discendenti degli schiavi).

Come è possibile, dunque, evocare le discriminazioni ebraiche per affrontare la discussione su norme che certo limitano le nostre libertà, ma all’interno della dialettica democratica, e soprattutto in assenza di un disegno di trasformazione della società, ma semplicemente in vista della soluzione di una crisi? È possibile perché chi propone l’analogia è evidentemente convinto che invece quel “disegno” esista. Anche se Agamben ritiene le accuse di complottismo, a lui e a chi sostiene tesi analoghe alle sue, accuse «infami», purtroppo la mentalità complottista in questi articoli, ma anche in altri scritti dello stesso Agamben, emerge. Come altrimenti si dovrebbe definire l’idea di una “Grande Trasformazione”? «Ancora una volta – scrive – tutte queste misure per chi abbia un minimo di immaginazione politica vanno situate nel contesto della Grande Trasformazione che i governi delle società sembrano avere in mente – ammesso che non si tratti invece, come pure è possibile, del procedere cieco di una macchina tecnologica ormai sfuggita ad ogni controllo». E il riconoscimento della possibilità del caso nulla toglie all’idea che una grande macchinazione in realtà possa esistere.

Un altro “intellettuale” (di inferiore curriculum, ma di superiore esposizione mediatica), Carlo Freccero, non esita a mettere nello stesso calderone la somministrazione di vaccini realizzati in tempi relativamente brevi, ma per i quali — non ci si stanca mai di ripeterlo — nessuna tappa di validazione è stata saltata, con le sperimentazioni spesso folli, condotte trascinati dall’ideologia della superiorità della razza, disumane oltre ogni immaginazione, del regime nazista. Come se l’ambito di incertezza nel quale inevitabilmente si muovono le vaccinazioni di massa in corso, a fronte degli ormai milioni di morti per la Covid-19, avesse anche solo un micron di realtà in comune con i crimini realizzati su esseri umani durante la Shoah e perpetrati avendo già sottratto a questi il riconoscimento della dignità di uomini.

Per criticare l’esistente si violenta la verità storica. E se questo accade, è forse perché il problema non sono né il green pass né le vaccinazioni: questi sono soltanto pretesti per una critica radicale del Sistema. E per una critica radicale del Sistema può tornare utile anche una torsione della realtà. Non è un caso isolato, dunque, il fatto che Agamben e Freccero (e Cacciari) abbiano steso in bella prosa e in contesti autorevoli convinzioni diffuse tra movimenti estremi e che circolano veloci e virali nei più singolari spazi del web.

Non è facile stabilire un identikit del no-vax medio. Il fenomeno è profondamente trasversale: ai neofascisti da una parte rispondono militanti ex-PCI dall’altra; nel mezzo ogni categoria umana e professionale, ogni ceto economico esistente — e perfino alcuni intellettuali che della freddezza, lucidità e profondità di visione dovrebbero fare sfoggio.
Il disvalore che unisce questo esercito di persone non è (solo) l’ignoranza, ma qualcosa di più profondo e pericoloso. Dopo la fratellanza sbandierata dai balconi, dopo le canzoni da un condominio all’altro, gli “andrà tutto bene” con arcobaleni al seguito, molti di noi si sono svegliati dentro una forma di individualismo nuovo e supremo.
Di questo parliamo. Un egoismo che mette la vita del singolo ben più in alto di qualsiasi concetto di comunità.

Che il pass sanitario costringa a essere controllati e “tracciati” è infine pura menzogna: vieni tracciato se lo usi sul telefonino con localizzatore, ma se te lo stampi (basta un clic), lo presenti dove è richiesto e nessuno ti “traccia”.
C’è peraltro un errore marchiano già in premessa. Basta pensarci un attimo, per smascherare la pretestuosità di tutto l’inutile ruggire di questi giorni nelle piazze.
Il pass sanitario non costituisce “violazione della libertà”: la negatività al tampone è condizione sufficiente per l’accesso agli eventi e luoghi per i quali il pass è necessario, perciò chiunque non voglia vaccinarsi, può dimostrare di non essere positivo al virus effettuando un tampone. In pratica il Green Pass funziona come il Telepass: se ce l’hai, transiti al casello autostradale senza fermarti; se non ce l’hai, ti metti in coda con le monetine per pagare il pedaggio.

Dunque le argomentazioni che invocano una “dittatura dei vaccini” e un “colpo di Stato sanitario”, che propongono paralleli tra il Green Pass e l’Apartheid, o tra il vaccino e lo Zyklon B usato nei campi di sterminio nazisti, sono — tutte e ciascuna — argomentazioni STUPIDE. Da rigettare in blocco.

Dovere. Volere. Potere.

È una questione di verbi servili.
Ciò su cui bisognerebbe lavorare, invece che perder tempo dietro queste sciocchezze, è evitare che si creino degli “apolidi sanitari”: ossia che si creino disuguaglianze con coloro che il vaccino NON POSSONO riceverlo (per motivi di salute ma non solo). Costoro NON DEVONO essere privati ​​del diritto di recarsi in determinati luoghi o di esercitare determinate attività.

Si deve in altre parole marcare una netta differenza fra (NON) VOLERE e (NON) POTERE.

All’interno della categoria “non potere” rientrano anche tutti coloro che per motivi di territorio o di età ancora pur volendolo non hanno avuto accesso alla vaccinazione.
DI TERRITORIO, per la disparità di efficienza: se a Roma e Milano hanno più facilità di vaccinazione rispetto a Palermo e Reggio Calabria, la colpa non è certo del singolo soggetto palermitano/reggino.
E DI ETÀ: gli anziani hanno beneficiato della priorità nella vaccinazione, non è giusto che questo dia loro il diritto di libero accesso a luoghi da cui una percentuale significativa di giovani e adulti rischia di essere esclusa.

Questo secondo livello ha anche un altro aspetto problematico, che coinvolge le persone fino ai 12 anni: per loro, l’accesso ai servizi sanitari — e quindi alla vaccinazione — passa attraverso i genitori e resta soggetto alla volontà e alle convinzioni di questi ultimi. Concretamente, questo significa che i giovani i cui genitori rifiutano il vaccino potrebbero essere di fatto esclusi dalla vita culturale e pubblica.
Inoltre, alcuni studenti potrebbero non essere in grado di partecipare ad attività e gite extrascolastiche che rientrano però nel programma di studi: e se non potranno accedere a musei, cinema, biblioteche, attività sportive o luoghi di ritrovo, sarà la loro stessa possibilità di crescere a essere compromessa.

In definitiva, il vaccino e il conseguente Green Pass non servono a proteggere coloro ai quali essi sono richiesti. È vero il contrario: è per proteggere gli altri, più fragili di noi, che abbiamo l’obbligo morale di vaccinarci.
Chi di noi non ha almeno un amico immunodepresso, un parente che non può vaccinarsi a causa di altre patologie, oppure parenti e amici vaccinati ma fragili? La vita di queste persone è esposta a grave rischio ogni volta che un portatore di Covid, vaccinato o meno, entra in contatto con loro o con persone con cui loro entreranno in contatto.
Proprio perché la copertura vaccinale non è assoluta questo tipo di situazioni deve essere limitato. Non possiamo illuderci che aver vaccinato le persone fragili abbia risolto il problema. Oggi i fragili, i malati, gli immunodepressi vivono nel terrore di entrare in contatto con il virus a causa di un amico/conoscente/parente capace di trasmetterlo. Parente o amico magari a sua volta vaccinato, ma che l’ha contratto da un conoscente che ha rifiutato di vaccinarsi.
È della libertà delle persone fragili, non di quella di chi non vuole vaccinarsi, che una democrazia liberale consapevole del significato della libertà come responsabilità deve preoccuparsi.

Un mondo mezzo vaccinato è come una piscina in cui solo un’estremità ha la regola del “non fare pipì nell’acqua”

Una lotta che avrebbe senso vedere espressa nelle piazze sarebbe piuttosto quella di chiedere i vaccini per i senzatetto, per gli immigrati, per quelli che non hanno protezione e soprattutto per i Paesi poveri, dove ancora solo l’1% della popolazione è vaccinata. Se esiste una “discriminazione” è tutta qui: non tra chi ha il Green Pass e chi non ce l’ha ma tra chi ha avuto il privilegio del vaccino e chi è ancora esposto e lo resterà. Su questo diritto al vaccino per gli altri avrebbe senso mobilitarsi.
Soprattutto in virtù del fatto che dal punto di vista della sopravvivenza di specie non possiamo permetterci di lasciare fuori dalla prevenzione una larga fetta di esemplari di questa specie.

In base a dati di metà luglio 2021, due miliardi e mezzo di persone nei 125 Paesi più poveri della Terra hanno ricevuto zero dosi di vaccino. Gli 85 Paesi più poveri prevedono la vaccinazione completa non prima del 2024. Questa non è solo una forma di uccisione di massa razzista (questa sì!), è anche un rischio per la civiltà. Ogni persona infetta, dopotutto, fa miliardi e miliardi di copie del virus e queste copie sono imperfette e producono mutazioni. Alla fine, se non si interviene, potrebbe emergere una mutazione così contagiosa da aggirare le difese basate sui vaccini.
Peggio ancora: se il virus circola abbastanza ampiamente per un tempo sufficiente, la probabilità che emerga un ceppo mutante più infettivo e più mortale aumenta sempre più.
Un mondo mezzo vaccinato è come una piscina in cui solo un’estremità ha la regola del “non fare pipì nell’acqua”.


Ecco, è su questi aspetti che si dovrebbe lavorare.
Aspetti MATURI.
Lasciando perdere quelli INFANTILI pretestuosi dei complottisti, dei cretini, degli intellettuali cui il caldo e la troppa frequentazione del web hanno dato alla testa, dei neofascisti che vogliono solo far casino, e di chi ha semplicemente paura dell’ago.

Belenofobia, tripanofobia e aicmofobia: potete tranquillamente scommettere che la metà (se non di più) dei non-vaccinandi sia in realtà gente con il terrore degli aghi
Addendum 1

L’esplosivo mix social+disinformazione

I messaggi contrastanti, per esempio sull’uso della mascherina (prima obbligatorio, poi non più necessario, poi di nuovo consigliato) o i pareri contrapposti dei virologi-star, hanno creato confusione e alimentato le perplessità. Caos moltiplicato esponenzialmente dall’uso intensivo dei social media.
Si è creata un’intera nuova categoria di persone, gli “esitanti vaccinali”, che racchiude sia chi si oppone strenuamente alla vaccinazione sia chi è dubbioso e poco propenso.

Lo studio della Statale di Milano “ResPOnsE Covid-19”, che indaga la risposta dell’opinione pubblica all’emergenza pandemica in Italia, riporta che chi è assolutamente contrario a vaccinarsi è pari al 5% della popolazione italiana, ma che c’è anche circa il 13% poco disponibile a vaccinarsi, anche in caso di obbligatorietà. E questo problema non riguarda solo la penisola.
Intervistando 492 partecipanti a una conferenza anti-vaccinazione in Polonia, altri ricercatori hanno appurato che la maggior parte degli esitanti e degli oppositori dei vaccini sono motivati ​​da opinioni negative generalizzate, non dall’esperienza diretta. Infatti, sebbene i partecipanti inizialmente spiegassero la loro opposizione ai vaccini con esperienze negative dirette, non erano in grado di citare nel dettaglio queste esperienze, adducendo generiche preoccupazioni su autismo, allergie o sulla salute dei bambini sottoposti a vaccinazione. I risultati indicano che gli individui che hanno dichiarato un’esperienza negativa con la vaccinazione erano in realtà stati persuasi dalle tipiche argomentazioni anti-vaccini.
Un sondaggio condotto da National Geographic e Morning Consult ha dimostrato un divario di genere sulla disponibilità a ricevere un vaccino anti Covid-19 negli Stati Uniti, con il 69% degli uomini intervistati che ha affermato che si sarebbe sottoposto a vaccinazione, rispetto a solo il 51% delle donne. Il sondaggio ha anche mostrato una correlazione positiva tra il livello di istruzione e la disponibilità a ricevere il vaccino.

Dietro tutti questi atteggiamenti si cela il cosiddetto “bias di conferma”, lo stesso alla base delle bolle e delle “camere dell’eco” sui social: cercare attivamente, in particolar modo sui social network, informazioni coerenti con le proprie convinzioni e ipotesi preesistenti, evitando informazioni che offrono spiegazioni alternative.
In altre parole, una volta che siamo stati culturalmente intaccati dalla disinformazione e dalle bufale, non riusciamo più a (né tentiamo di) liberarcene.

Addendum 2

Come proliferano i No-vax e i No-Green Pass

I fenomeni antropologici sono poi ulteriormente potenziati e favoriti da chi rimesta nel torbido con obiettivi propri: neofascisti, anarchici, hacker russi, semplici idioti.
Creare nuovi profili Facebook, renderli credibili, inserirli in diversi gruppi; quindi, diffondere il messaggio contro il green pass. Funziona così la strategia social di chi si oppone alla certificazione verde. Una strategia che nasce evidentemente con l’obiettivo di far apparire la comunità dei No green pass più numerosa di quanto effettivamente non sia, oltre che di utilizzare i social come strumento di propaganda.
La rivista Wired è stata in grado di raccontarla, come testimonia l’immagine in basso, dopo essere entrata in un canale Telegram con oltre 29mila iscritti che raccoglie persone contrarie alla certificazione verde. L’indicazione rivolta agli iscritti è quella di creare un paio di profili Facebook con nomi di fantasia. Quindi di costruire quella che in gergo spionistico si chiama leggenda, ovvero rendere credibile il profilo pubblicando delle foto, condividendo materiali e interagendo con altri utenti e gruppi. Quest’ultimo l’elemento cruciale: bisogna entrare in almeno una decina di gruppi Facebook “con grandi numeri”, non limitandosi a quelli “contro la truffa covid”. Quindi “quando sarà il momento di pubblicare, diffondete senza pietà”. Ci sono poi ulteriori consigli pratici, rivolti evidentemente con l’obiettivo di non rendere tracciabili le persone dietro ai profili Facebook creati per diffondere il messaggio.

Addendum 3

5 statistiche sull’efficacia dei vaccini contro Covid-19 a prova di scettico

Che i vaccini contro Covid-19 funzionino, soprattutto nel prevenire i casi gravi della malattia, le ospedalizzazioni e i decessi, è scientificamente noto. Secondo i dati di cui è in possesso l’Istituto Superiore di Sanità, in particolare, il ciclo vaccinale completo a doppia dose scongiura — facendo una media delle fasce d’età — il ricovero in ospedale al 94%, il ricovero in terapia intensiva al 97% e l’esito fatale della malattia al 96%. Ed è molto alta anche la protezione dall’infezione, stimata all’88%.
Tutto ciò non significa che i vaccini porteranno a un azzeramento dei casi gravi, o tantomeno alla fine della pandemia, ma rende evidente che la campagna vaccinale sta dando un contributo importante nel superare l’emergenza sanitaria.
Ma ecco le 5 prove cruciali basate sui numeri — ossia, sui FATTI, la tanto vituperata realtà…

  1. Sempre meno casi gravi rispetto alle infezioni
    L’effetto principale delle vaccinazioni è di abbattere il numero di casi di Covid-19 gravi, ossia tali da richiedere un ricovero ospedaliero o in terapia intensiva, oppure da causare la morte del paziente. E in questo senso l’effetto della campagna vaccinale si coglie guardando al rapporto tra persone ricoverate in ospedale e casi attivi (ossia persone attualmente positive). Al momento [28 luglio 2021] abbiamo 1.512 persone ricoverate con sintomi e 182 in terapia intensiva, su un totale di 68.236 casi positivi. Vale a dire, un tasso di ricovero ospedaliero del 2,2% e di ricovero in intensiva dello 0,27%.
    Gli stessi parametri calcolati due mesi fa (268mila casi attivi) erano rispettivamente 3% e 0,48%, all’inizio di quest’anno (575mila casi attivi) erano 4% e 0,44%, e a inizio ottobre 2020 (52mila casi attivi) erano 5,89% e 0,55%. Un anno fa, quando le terapie intensive erano sostanzialmente vuote con una quarantina di persone appena, il tasso di ricoveri ospedalieri era comunque al 5,88% (735 ricoverati su 12.500 casi attivi). Insomma, rispetto ai casi positivi non abbiamo mai avuto così poche persone in ospedale e lo stesso vale per le terapie intensive.
  2. L’età media dei decessi è in calo
    Per capire che cosa abbia a che fare l’effetto della vaccinazione con l’età media delle persone decedute, è necessario tenere conto che le somministrazioni non stanno procedendo in modo uniforme per tutte le età, ma che al momento è ancora molto sbilanciata verso le persone delle fasce anagrafiche più avanzate. Gli over 80 sono coperti al 90%, i settantenni all’83%, i sessantenni al 72%, i cinquantenni al 65%, i quarantenni al 51% e così via.
    Quello che ci si aspetterebbe da una campagna di vaccinazione efficace, in pratica, è che in proporzione muoiano sempre meno persone anziane rispetto alle giovani, dunque che l’età media dei decessi diminuisca mano a mano. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo. Dalla prima settimana di febbraio in poi l’età media dei pazienti positivi deceduti è stata in continua diminuzione, passando da 81,77 anni ai 79,71 della prima settimana di marzo, poi ai 78,74 di inizio aprile ai 76,66 di inizio maggio. Attualmente, con qualche oscillazione di settimana in settimana, ci si colloca intorno ai 75 anni.
    La diminuzione dell’età media dei decessi, peraltro, si accompagna a una diminuzione di altri parametri, come l’età media degli ospedalizzati e dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. E anche l’età media delle persone positive è scesa di molto, arrivando nel mese di luglio per la prima volta sotto i 50 anni.
  3. I ricoveri tra i vaccinati sono molti meno
    Naturalmente in questo caso non ha senso guardare ai numeri assoluti, ma ai rapporti. Anche perché, in una situazione ideale in cui il 100% delle persone è vaccinato, tutti i ricoveri sarebbero di vaccinati. I numeri in questo caso sono eloquenti. Prendiamo gli ultraottantenni, che a inizio luglio erano coperti dalla doppia dose all’85%. Secondo i dati nazionali da metà giugno a metà luglio il 15% di non vaccinati è corrisposto al 71% dei ricoverati (il 54% se si contano solo i nuovi ricoverati del mese) e al 69% dei decessi. Insomma, pur rappresentando una fetta molto piccola degli over 80, i non vaccinati sono la maggioranza delle persone di quell’età che finiscono in ospedale con Covid-19.
    Con il passare delle settimane e il procedere della campagna vaccinale va da sé che i non vaccinati potrebbero non essere più la maggioranza assoluta. Si tratta di una considerazione statistica molto banale, ma per evitare che si crei confusione su questo punto è stato coniato il nome giornalistico di “paradosso” della platea dei vaccinati. Anche se i ricoverati sono in maggioranza vaccinati, ciò non significa affatto che il vaccino non abbia un’ottima efficacia.
  4. Il crollo dei decessi tra i medici
    Primi a ricevere il vaccino insieme agli altri operatori sanitari, i medici sono anche la categoria in cui per prima si sono evidenziati gli effetti positivi delle somministrazioni. Nel primo anno di pandemia, da febbraio 2020 a gennaio 2021, il triste computo dei medici morti per Covid-19 ha superato quota 300. Oggi, sei mesi più tardi, siamo a quota 359.
    Insomma, si può dire che la campagna vaccinale è coincisa con una brusca frenata dei decessi tra i medici, a maggior ragione se si considera che i mesi di febbraio e marzo (in cui la campagna vaccinale degli operatori sanitari era in via di completamento) sono corrisposti a un’ulteriore cinquantina di decessi, per arrestarsi poi quasi completamente dall’arrivo della primavera.
  5. Il SARS-CoV-2 appare meno letale
    Già ribadito: rispetto al numero complessivo di casi positivi registrati, sono in diminuzione tutti gli indicatori di malattia grave. Una diminuzione piuttosto netta, tale da riflettersi in maniera apprezzabile anche nella variazione della letalità media complessiva di Covid-19 da inizio pandemia. Secondo i dati del 2020, infatti, l’infezione virale aveva una letalità media del 3,4%, mentre già a inizio marzo la media complessiva si era abbassata a 3,3% e a inizio maggio era ulteriormente scesa al 3%.
    Negli ultimi due mesi il dato complessivo è rimasto fermo al 3%, anche perché il numero di nuovi casi è stato troppo basso per spostare significativamente la media generale. Se infatti consideriamo il periodo che va dal primo aprile a oggi, la letalità media è scesa al 2,54% (713mila casi corrispondenti a 18mila decessi), e nell’ultimo mese allo 0,81% (63mila casi e 513 decessi).
Addendum 4

La grande bugia sui vaccini “frettolosi”

Tipico argomento diffuso fra gli “esitanti vaccinali” è la presunta frettolosità della realizzazione dei vaccini, con conseguente assenza di sicurezza: «Non c’è stato il tempo di sperimentarli come si deve, sono state saltate le fasi cruciali per renderli sicuri». Ma in un simile concetto l’unica cosa che salta è la verità.
I vaccini autorizzati da parte delle autorità sanitarie (EMA prima e AIFA poi) hanno rispettato in tutto e per tutto i requisiti richiesti per l’approvazione. La conditional market authorization è una corsia preferenziale, ma non equivale a una riduzione dei controlli prima dell’immissione in commercio; e certamente non vale solo per i vaccini anti Covid ma anche per altri farmaci, in particolare oncologici. Sul sito ufficiale dell’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA), si legge che per il terzo livello di studi clinici è necessario un esperimento randomizzato con almeno 30 mila partecipanti (volontari).
Gli studi clinici nella fase III per il vaccino Pfizer-BioNTech, i cui risultati hanno permesso l’autorizzazione d’emergenza l’11 dicembre 2020 negli Stati Uniti, hanno coinvolto 43.448 partecipanti, per il vaccino AstraZeneca i partecipanti sono stati 32.449, 44.325 per Janssen e 30.420 per Moderna.

Ogni sperimentazione clinica si realizza in 3 fasi “pre” e 1 “post”, in base al modello sperimentale adottato, la quantità di componente somministrata e la numerosità del campione di popolazione coinvolta:

  • Fase I: prima somministrazione del vaccino sull’uomo per valutare la tollerabilità e la sicurezza del prodotto (il numero dei soggetti coinvolti è molto ridotto)
  • Fase II: se la fase I ha mostrato risultati positivi, il vaccino viene somministrato a un numero maggiore di soggetti (sempre esiguo) per valutare la risposta immunitaria prodotta, la tollerabilità, la sicurezza e definire le dosi e i protocolli di somministrazione più adeguati. 
  • Fase III: se la fase II ha mostrato risultati soddisfacenti, il vaccino viene somministrato a un numero elevato di persone allo scopo di valutare la reale funzione preventiva del vaccino. 
  • Fase IV: gli studi di fase IV iniziano dopo che il vaccino è stato approvato per l’immissione in commercio, infatti vengono chiamati anche studi sulla “sorveglianza post marketing”. Tali studi vengono condotti per valutare in maniera continuativa nel breve e nel lungo termine la sicurezza e l’efficacia dei vaccini nella pratica clinica.

Solo se le fasi I, II, III hanno dato esito positivo, il vaccino viene registrato e si procede alla produzione e distribuzione su larga scala. Ed è ciò che è successo per i vaccini che stiamo utilizzando.
Ci si dimentica peraltro che non tutti i vaccini proposti hanno “passato l’esame”. Come per esempio il V451 dell’Università del Queensland o il CoronaVac cinese.
In Europa i vaccini approvati dall’EMA sono solo quattro, quelli delle case farmaceutiche Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson. Circolano poi anche quelli Curevac, Sputnik, Sinovac, Novavax.
Da Russia, Cina e Cuba giungono informazioni riguardo a vaccini la cui efficacia e sicurezza sarebbe stata comprovata nelle fasi più avanzate della sperimentazione, per quanto sia difficile in diversi casi andare a vedere concretamente i dati. Anche Iran e India hanno annunciato il proprio vaccino: su questi ultimi i dati sono ancora più incerti.
Ci sono numerosi prodotti a carattere nazionale su cui la ricerca sta spingendo molto (si pensi a Takis e Reithera per l’Italia). Ci saranno probabilmente altri arrivi dalla Cina, ma anche dall’Australia, dal Vietnam (qui addirittura ci stanno lavorando i militari), da Corea del Sud, Canada, Messico, Giappone, Israele, Turchia. Perfino i Marines USA sono impegnati nello studio di un vaccino anti-Covid.
A fare bene i conti, sono almeno 16 i vaccini approvati finora ai quattro angoli del globo, per non parlare dei prodotti tuttora in sperimentazione dalla fase 1 alla fase 3. Ma fatta eccezione per alcuni vaccini prodotti in Cina, dobbiamo constatare che spesso la concomitanza di aspirazioni concorrenziali rispetto alle democrazie occidentali sembrano avere la meglio sui dati scientifici concreti, mettendo in difficoltà gli stessi esperti che vorrebbero saperne di più.
Insomma, quei 4 che attualmente usiamo nella UE sono i più affidabili e sicuri — un po’ come i 4 Vangeli Canonici rispetto alle decine e decine di Apocrifi, riguardo alle vicende del Gesù storico…

Un altro argomento di dibattito è quello delle morti improvvise che sembrano legate all’inoculazione dei vaccini. Sulla base dei dati ufficiali riportati da AIFA (Agenzia italiana del farmaco), il numero di decessi per cui sia stato effettivamente riconosciuto che “l’associazione causale fra evento e vaccino è considerata plausibile” è molto basso. Secondo il Rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19, pubblicato il 26 giugno 2021, le segnalazioni con esito decesso successive alla somministrazione del vaccino sono 423, ossia 0,85 ogni 100 mila (0,00085%). Il dato, però, indica tutte le segnalazioni, non solo i casi per i quali sia stato effettivamente riconosciuto come plausibile un nesso di causalità tra il vaccino e il decesso. I casi in cui il nesso è stato riconosciuto sono solamente 7, contro i 33 milioni di individui vaccinati con almeno una dose tra il 27 dicembre 2020 e il 26 giugno 2021. Per i più dubbiosi, vi si possono aggiungere altri 142 casi classificati come “indeterminati”: sono casi per i quali “l’associazione temporale è compatibile, ma le prove non sono sufficienti a supportare un nesso di causalità”.

Per fare un confronto, secondo le rilevazioni EMA sono stati segnalati nello stesso lasso di tempo 287 decessi legati alla somministrazione di Paracetamolo e 301 legati all’Acido Acetilsalicilico (il principio attivo dell’Aspirina). In altre parole, è “plausibilmente” morta oltre 40 volte più gente a causa dei farmaci per il mal di testa: di che stiamo parlando, dunque? Dati simili si ottengono anche osservando le segnalazioni di reazioni avverse negli Stati Uniti. Sul portale Vaers (Vaccine Adverse Event Reporting System) del governo americano (che comunque resta un sistema di segnalazione passivo, che non effettua verifiche sui nessi di causalità), le segnalazioni di eventi avversi con esito decesso sono 5.467, lo 0,0029% degli individui che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino nel Paese.

Addendum 5

Il “complotto obbligatorio”

«Alla fine l’opportunismo carpiato di parte della classe politica (Salvini e Meloni in primis) è finito nel luogo che meglio gli si confà: la piazza. Mesi e mesi spesi a parlare di dittatura sanitaria, di ragazzi che non si devono pungere, di green pass che vanno bene in Europa ma in Italia no, come se il nostro continente di riferimento fosse l’Oceania, a mestare nel torbido dei peggiori istinti per quattro voti in più, hanno saldato le incerte convinzioni dei novax a un progetto di lungo periodo basato su renitenza e vittimismo, cioè sul programma politico della Destra italiana e dei residui tantopeggisti di estrema sinistra». (Luca Bottura)
Così Sergio Berlato, eurodeputato di Fratelli d’Italia: «Siamo tutti topini bianchi, strumenti di una sperimentazione di massa con le sostanze geniche sperimentali. Sì, quelle che voi chiamate vaccino». La politica (di destra) brilla nel cavalcare le peggiori pulsioni complottiste. Specialmente quelle che intravedono un “piano globale” per controllare, sottomettere, schiavizzare perpetuamente tutti. Covid-19, in quest’ottica, non sarebbe altro che un virus creato ad hoc da un perfido binomio fra governi e case farmaceutiche: l’obiettivo dei primi è il potere, l’obiettivo delle seconde è l’arricchimento smisurato.

Ecco invece come plausibilmente sono andate davvero le cose, fra governi e Big Pharma: quello che segue è un dialogo immaginario fra gli emissari dei governi dei principali Paesi del mondo e i dirigenti delle più grandi case farmaceutiche planetarie, poche settimane dopo lo scoppio della pandemia.

* * *

– Grazie per averci ricevuti, cari signori di Big Pharma.
– È nostro dovere, Governi. Siamo allarmati quanto voi, da quel che sta succedendo.
– Siamo qui per chiedere il vostro aiuto. È indispensabile. Soltanto voi avete laboratori di ricerca e stabilimenti di produzione di dimensioni tali da aiutare qualcosa come 7 miliardi di persone.
– Purtroppo non basteranno.
– Lo sappiamo bene. In questi primi mesi di pandemia abbiamo dovuto affrontare due gravi emergenze dal punto di vista sanitario: i decessi e lo stress degli ospedali. Nessuno potrà dimenticare la fila di bare di Bergamo o Los Angeles, o le immagini di medici e infermieri esausti e traumatizzati. E proprio per questo siamo qui: metteremo in campo investimenti che non si sono mai visti nella storia dell’umanità. Già solo gli Stati Uniti hanno pronto un piano dal nome significativo: Warp Speed. Con risorse illimitate.
– È comunque una responsabilità enorme… Parliamo di miliardi di persone… E se qualcosa andasse storto?
– Ovviamente, godrete di una manleva totale. Oltre che di surplus di fatturati che altrimenti vi sognereste. Siamo perfettamente consapevoli del rischio di una simile corsa. Ma non si può chiudere il pianeta in attesa che la tempesta passi da sola.
– Gente come Bill Gates ve lo diceva da anni: lo spillover non era tema da “se accadrà”, era solo un problema di “quando accadrà”. Be’, è accaduto: nel frattempo non avete fatto nulla, pur avendo una Organizzazione Mondiale della Sanità, una EMA, e istituti di sanità in ogni nazione… E addirittura Bill Gates è stato dipinto come alla base del complotto!
– Inutile rigirare il dito nella piaga. È accaduto, punto. Probabilmente sono stati i Cinesi, peraltro: fuga da laboratorio. Ma non potremo mai provarlo. Ora in ogni caso bisogna correre ai ripari.
– OK. Passiamo al lato scientifico: intanto, nessun vaccino proteggerà al 100%.
– Lo sappiamo. Tuttavia i vaccini comunque proteggeranno dalla malattia grave e dalla morte. Questo non significherà che non sarà possibile ammalarsi gravemente e perfino morire, da vaccinati, perché nessun farmaco funziona nel 100% dei casi, mai, come voi ci insegnate. Ma la probabilità di ammalarsi gravemente e morire sarà molto bassa, infinitamente più bassa rispetto a chi non sarà vaccinato. E già questo sarà un risultato ottimale. Perché potremo riprendere una vita quasi normale.
– Questo è vero. Siete tuttavia consapevoli che non sarà possibile prevedere gli effetti del vaccino a lunga distanza, poiché non si potranno rispettare le solite procedure e avremo solo 10/12 mesi di sperimentazione? Parte della popolazione rifiuterà un vaccino generato in fretta, senza il giusto tempo per valutarne la sicurezza a lungo termine… Sarà il paradiso dei complottisti e delle fake news.
– Dotto’, siamo in emergenza! La gente muore! A decine di migliaia al giorno! Chi se ne fotte dei complottisti e delle fake news? Se aspettassimo anni e le “normali procedure”, quanti morti avremmo? Intanto, per il vaccino influenzale che voi producete e noi inoculiamo ogni anno non vi è affatto un periodo di anni di sperimentazione clinica, visto che ogni volta che gettiamo un calendario e ne appendiamo al muro uno nuovo si cambia vaccino a causa della variazione di quelli che si ritengono saranno i ceppi prevalenti nell’inverno. I tempi di sviluppo e di somministrazione di massa di alcuni vaccini sono anche più ristretti del caso attuale; e anche se in quelle occasioni ci fu già chi prospettò potenziali e indefiniti “effetti a lungo termine”, questi effetti non sono mai stati osservati. Eppoi c’è una bella differenza fra sviluppo “frettoloso” e sviluppo “con urgenza”! Nessuna tappa del processo di validazione del prodotto verrà saltata, saremo rigorosi in questo, sorveglieremo. Rispetterete almeno le tappe fondamentali della sperimentazione.
– Sì, ma anche partendo adesso, i test per stabilire genotossicità e cancerotossicità dei vaccini termineranno solo nell’ottobre del ’22…
– Infatti avrete l’autorizzazione dei vaccini condizionata e valida per soli tre anni. Comunque, voi ci insegnate che, data la composizione chimica dei vaccini a RNA, è del tutto improbabile che vi siano sostanze cancerogene. I componenti del vaccino, lipidi e RNA, non sono attesi avere potenziale cancerogeno o genotossico.
– In effetti… anche per molti farmaci tali studi arrivano in un secondo tempo. Anche dopo un decennio.
– Ecco, appunto.
– Che farete a livello governativo e di sanità pubblica per i soggetti allergici e per quelli immunodepressi, i quali sviluppano risposte immunitarie solo in una percentuale vicina al 50%?
– L’allergia non è una controindicazione, a meno che non riguardi prodotti presenti nei vaccini. Soggetti che dichiarano allergia verranno vaccinati solo negli ospedali e trattenuti per almeno un’ora; naturalmente saranno disponibili i farmaci necessari per contrastare eventuali shock anafilattici. Gli immunodepressi e i fragili verranno trattati caso per caso. E in ogni caso voi ci insegnate che è meglio una bassa risposta al vaccino che una totale esposizione al virus.
– Corretto. Siete al corrente che, anche nei vaccini a mRNA che sono più sicuri di quelli basati su adenovirus, potrebbero comunque verificarsi casi di miocarditi precoci nei giovani, sia pure rarissimi, sì?
– Il coronavirus SARS-CoV-2 induce gravi danni cardiaci, perbacco!, e non “rarissimi” ma in quasi tutti gli ammalati! E comunque le miocarditi da vaccino sono in generale di tipo modesto e reversibile. Lo avete scoperto voi scienziati! Santo cielo, state un po’ esagerando col mettere le mani avanti…
– Renderete i vaccini obbligatori?
– No. Non potrà esistere obbligo per la vaccinazione, anche in base alle Costituzioni in vigore nei Paesi occidentali. Tuttavia la mia libertà termina quando intacca la libertà degli altri. Prendiamo i sanitari: potranno non vaccinarsi, ma poiché rischieranno di contagiare i propri ammalati, se non si vaccineranno non potranno esercitare la loro attività. Il caso si potrebbe estendere agli insegnanti. Ma valuteremo in corso d’opera.
– Va bene. Basta chiacchiere: rimbocchiamoci le maniche.
– Ecco, bravi: mettetevi subito al lavoro e tirateci fuori dalla cacca entro la fine dell’anno.
– Sarà un miracolo…
– Le opzioni sono soltanto due: o ce la fate, o ce la fate. Non ce n’è una terza.

Extra — un intervento di Ugo Arrigo

Analisi logica del comportamento illogico dei no-vax

Com’è possibile che qualcosa di molto utile al benessere individuale e a quello collettivo possa essere rifiutato da decisori razionali, solitamente in grado negli altri ambiti di scelta di individuare e perseguire ciò che è meglio per loro stessi?

A far sorgere l’interrogativo è l’opposizione ai vaccini Covid che una minoranza di persone, limitata ma non esigua, sostiene con particolare enfasi e impegno. Eppure sul fatto che i vaccini siano molto utili, che i loro benefici oltrepassino in maniera netta i limitati — in quanto pochissimo probabili — rischi di effetti collaterali, la scienza non ha dubbi. L’esistenza dei no-vax sembra in conseguenza non avere una spiegazione logica e il caso da essi generato merita un tentativo di riflessione, faticoso in quanto richiede di razionalizzare ciò che a prima vista appare come completamente irrazionale.

Il progresso umano deve molto ai vaccini, alla loro scoperta e alla successiva diffusione, non sempre facile e veloce, presso la generalità delle popolazioni. Chi si vaccina genera vantaggio per sé stesso, in quando si protegge da malattie che possono essere letali, e contemporaneamente genera vantaggio agli altri poiché annulla o almeno riduce sensibilmente, come nel caso della Covid, i rischi derivante dal veicolare il contagio. Chi non si vaccina crea danno a sé stesso, in quanto si espone a rischi evitabili, e crea danno agli altri, in quanto espone anche chi gli sta attorno a rischi facilmente evitabili.

Questi due differenti casi di decisori individuali rientrano nei quattro analizzati in un brillante saggio, scherzoso ma non troppo, pubblicato alla fine degli Anni ’80, ma in realtà scritto molto tempo prima per una ristretta cerchia di amici, dallo storico dell’economia Carlo Cipolla, “Le leggi fondamentali della stupidità umana”, incluso nel volumetto del MulinoAllegro ma non troppo”.

Egli divide l’umanità, in base alle conseguenze solitamente prodotte dalle decisioni di ognuno, in quattro categorie: ci sono in primo luogo gli “intelligenti”, coloro che con le loro azioni generano vantaggi per sé stessi e anche per chi sta attorno, o almeno non lo danneggiano; poi vi sono i “banditi”, coloro che fanno danno agli altri per trarre vantaggio per sé; seguono gli “sprovveduti”, che sono coloro che recano beneficio agli altri ma danno a sé stessi; infine gli “stupidi”, la categoria di maggior interesse per la nostra analisi, coloro che con le loro azioni generano danni agli altri senza ricavarne vantaggio e più spesso danneggiando anche sé stessi. Dunque chi si vaccina apparterrebbe al primo gruppo mentre il no-vax all’ultimo.

Fin qui abbiamo però solo una descrizione e una classificazione ma non ancora un’interpretazione. Continuiamo pertanto a ricorrere all’aiuto di Cipolla. Egli propone alcune “leggi fondamentali della stupidità umana”, come dice il titolo del saggio, che, accanto alla definizione di “stupido” (la III legge) sono le seguenti: «(I) sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione; (II) la probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa; (IV) le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide; (V) la persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista. Corollario: lo stupido è più pericoloso del bandito».
Questo però si può fare individualmente ma non collettivamente: ogni persona può prudenzialmente stare alla larga da soggetti che possano ricadere sotto questa etichetta ma una società nel suo complesso avrà inevitabilmente a che fare con una quota di persone che rientrano in questa categoria, che possono produrre danni seri e le cui azioni potenzialmente pericolose vanno pertanto prevenute, contenute e possibilmente neutralizzate.

Come sia possibile farlo non lo troviamo tuttavia nel brillante saggio di Cipolla così come non vi troviamo il perché alcune persone ricadano inevitabilmente in questo gruppo. Dunque continuiamo a brancolare nel buio e non ci resta che formulare un elenco di ipotesi.
Accantonata l’ipotesi dell’irrazionalità possiamo considerare quella successiva, e cioè il fatto che non siano adeguatamente informati, che le loro scelte si basino su informazioni distorte che li portano a scelte errate. In questa ipotesi essi sono razionali nel pesare costi e benefici di un scelta ma confrontano misure sbagliate di costi e/o benefici dopo averle necessariamente importate da fonti esterne d’informazione. I no-vax credono dunque davvero, in base alle informazioni che hanno acquisito, che la Covid non sia pericolosa o non esista proprio e/o che i vaccini abbiano con certezza pericolosi effetti collaterali, pertanto la loro valutazione e la loro scelta conseguente risulta distorta.

Contrasta tuttavia questa interpretazione il fatto che l’informazione corretta sia assolutamente disponibile e facilmente accessibile. Com’è possibile che tra tanta informazione corretta essi vadano proprio a pescare quella distorta? Qui però viene in soccorso un fatto: la mente umana ragiona per ipotesi e teorie che elabora ancor prima di aver acquisito tutte le informazioni. Poi in base al flusso d’informazioni le ipotesi verranno confermate, modificate o accantonate. Se siamo però troppo innamorati delle nostre teorie saremo più propensi a cercare e a recepire informazioni che le confermino rispetto a quelle in grado di smentirle. [Il funzionamento dettagliato di tali meccanismi è in questo blogpost, ndr]

Il proliferare dei canali informativi, col passaggio dai mezzi di comunicazione di massa a una vera e propria massa di mezzi d’informazione, rende molto facile fare cherry picking per trovare esattamente l’informazione che ci serve per confermare qualunque teoria, anche la più stravagante, per crearci una bolla d’informazione, di razionalità e di partner dialoganti a immagine e somiglianza delle nostre credenze.

Nella massa dei mezzi di comunicazione inoltre sembra valere, come nella circolazione monetaria, la legge di Gresham: come la moneta (metallica) cattiva scaccia quella buona, così l’informazione cattiva scaccia quella buona, circolando più velocemente e più capillarmente (e nei talk show i cattivi ospiti mettono spesso in secondo piano quelli oggettivi e razionali in quanto, spacciando cattiva moneta informativa, sono in grado di creare molta più audience).

Una maggiore domanda di cattiva informazione genera immediatamente una maggiore offerta, la quale alimenterà ulteriore domanda, in un circolo vizioso che appare molto difficile da fermare.

Questo è davvero un grosso problema, che va molto oltre la questione dei no-vax, i quali sono solo un semplice sintomo del medesimo e comunque un’utile cartina al tornasole per farci accorgere che esiste. Esso getta una luce inquietante sul futuro delle società libere nella competizione con società autoritarie, nelle quali l’inflazione informativa caotica delle prime è sostituita dalla moneta unica di una ordinatissima informazione ufficiale di regime. Le seconde potrebbero facilmente vincere la competizione se la nostra disinformazione diffusa si tradurrà in scelte irrazionali o nell’incapacità di scegliere.

Di fronte all’ampiezza e gravità di questo rischio il problema del superamento delle resistenze dei no-vax è molto semplice. Una società liberale dovrebbe per quanto possibile minimizzare gli obblighi e affidarsi a scelte individuali informate e responsabili. Tuttavia una società liberale deve difendere sia la libertà di scelta nella sfera esclusivamente individuale di ognuno sia la libertà di ciascuno intesa come protezione da danni ingiusti prodotti da terzi, tra i quali quelli generati dalla trasmissione del virus.

Se chi non desidera vaccinarsi non accresce il rischio per gli altri in quanto vive relativamente isolato, sia allora libero di non vaccinarsi; ma se egli intende frequentare luoghi collettivi soggetti ad affollamento, a partire dai mezzi pubblici, oppure è obbligato a farlo per ragioni lavorative, allora forme di restrizione come il green pass, se è possibile una verifica capillare del medesimo, o l’obbligo vaccinale, non solo appaiono compatibili con una società liberale ma potrebbero anche rappresentarne un requisito attuativo.


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