Il pericolo insito nella “scelta tra privacy e salute”

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Decisioni che in tempi normali richiederebbero anni di gestazione vengono assunte nel giro di poche ore. Tecnologie in erba, e perfino pericolose, sono attivate perché i rischi di non fare niente sono maggiori. Interi Paesi sono cavie di esperimenti sociali su larga scala. Cosa succede quando tutti lavorano da casa e comunicano solo a distanza? Cosa succede quando intere scuole e università vanno online? In tempi normali, i governi, le imprese e i consigli d’istituto non avrebbero mai accettato di condurre tali esperimenti. Ma questi sono tutt’altro che tempi normali.

Cinquant’anni fa, il KGB non poteva pedinare 240 milioni di cittadini sovietici 24 ore al giorno, né poteva sperare di elaborare efficacemente tutti i dati raccolti. Il KGB si affidava ad agenti e analisti in carne e ossa e non poteva mettere un agente a pedinare ogni cittadino. Ma ora i governi possono contare su sensori onnipresenti e sofisticati algoritmi.

Nella loro battaglia contro questa pandemia Sars-CoV-2 che è già passata alla Storia, diversi governi hanno impiegato nuovi strumenti di sorveglianza di massa. Il caso più eclatante è quello della Cina. Monitorando continuamente gli smartphone delle persone, utilizzando centinaia di milioni di telecamere che riconoscono i volti e obbligando le persone a controllare e segnalare la temperatura corporea e le condizioni mediche, le autorità cinesi possono non solo identificare rapidamente i sospetti portatori di virus ma anche tracciare i loro movimenti e identificare chiunque sia entrato in contatto con loro. Alcune applicazioni mobili avvertono i cittadini della loro prossimità a pazienti infetti.

Questo tipo di tecnologia non si limita all’Estremo Oriente. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha autorizzato l’Agenzia israeliana per la sicurezza a utilizzare la tecnologia di sorveglianza, normalmente finalizzata alla lotta contro i terroristi, per rintracciare i pazienti affetti da coronavirus. Quando la sottocommissione parlamentare competente ha rifiutato di autorizzare la misura, Netanyahu l’ha comunque approvata con un “decreto d’emergenza”.

Si potrebbe obiettare che non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Negli ultimi anni sia i governi che le aziende hanno utilizzato tecnologie sempre più sofisticate per tracciare, monitorare e manipolare le persone. Eppure, se non stiamo attenti, l’epidemia potrebbe segnare un importante spartiacque nella storia della sorveglianza. Non solo perché potrebbe legittimare l’impiego di strumenti di sorveglianza di massa nei Paesi che finora li hanno respinti, ma ancora di più perché significa un passaggio preoccupante dalla sorveglianza esterna “over the skin” a quella interna “under the skin”.

Finora, quando il dito toccava lo schermo dello smartphone per cliccare su un link, un governo come quello cinese poteva voler sapere su cosa esattamente si stava cliccando. Ma con il coronavirus il centro dell’interesse si è spostato. Ora si vuole sapere la temperatura del dito e la pressione sanguigna del tocco.
Ipotizziamo un governo che richieda a ogni cittadino di indossare un braccialetto biometrico che monitori la temperatura corporea e la frequenza cardiaca 24 ore al giorno. I dati risultanti saranno memorizzati e analizzati da algoritmi governativi. Gli algoritmi sapranno se sei malato prima ancora che lo sappia tu, e sapranno anche dove sei stato e chi hai incontrato. La catena del contagio potrebbe essere drasticamente accorciata e perfino eliminata completamente. Un siffatto sistema potrebbe fermare l’epidemia nel giro di pochi giorni. Sembra fantastico.

Ma c’è il rovescio della medaglia. E il rovescio della medaglia è che questo sistema sdoganerebbe un nuovo terrificante sistema di sorveglianza. Se si sa, per esempio, che se una persona clicca su un link di Fox News piuttosto che su uno di CNN, questo può dire qualcosa sulle opinioni politiche e forse anche sulla personalità. Ma se si può controllare la temperatura corporea, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca di qualcuno che guarda un videoclip, si può desumere se il contenuto suscita ilarità, commozione o irritazione.

È importante ricordare che la rabbia, la gioia, la noia e l’amore sono fenomeni biologici come la febbre e la tosse. La stessa tecnologia che identifica la tosse potrebbe anche riconoscere il riso. Se le aziende e i governi cominciano a raccogliere i nostri dati biometrici in modo massiccio, possono conoscerci molto meglio di quanto ci conosciamo noi stessi e possono quindi non soltanto indovinare i nostri sentimenti, ma anche manipolarli così da venderci tutto ciò che vogliono — sia che si tratti di un prodotto che di un politico —. Il monitoraggio biometrico fa apparire le tattiche di hacking dei dati di Cambridge Analytica come qualcosa dell’età della pietra. Immaginiamo una Corea del Nord nel 2030, quando ogni cittadino deve indossare un braccialetto biometrico 24 ore al giorno: se ascolti un discorso del Grande Leader e il braccialetto intercetta segni di dissenso, sei spacciato.

Certo, si potrebbe comprensibilmente adottare la sorveglianza biometrica come misura “temporanea” durante lo stato di emergenza: una volta terminata l’emergenza, si sospenderebbe. Ma le misure temporanee hanno la cattiva abitudine di permanere nel tempo, tanto più che, all’orizzonte, c’è sempre una nuova emergenza in agguato.
Chiedere alle persone di scegliere tra privacy e salute è la fonte della questione. Perché questa è una falsa scelta. Possiamo e dobbiamo avere sia la privacy che la salute. Possiamo scegliere di proteggere la nostra salute e fermare l’epidemia di coronavirus senza bisogno di sistemi di sorveglianza totalitari, ma piuttosto dando responsabilità ai cittadini.

Si pensi, per esempio, al lavarsi le mani con il sapone. È stato uno dei più grandi progressi dell’igiene umana. Questa semplice azione salva milioni di vite ogni anno. Anche se la diamo per scontata, è solo nell’Ottocento che gli scienziati hanno scoperto l’importanza di lavarsi le mani con il sapone. In precedenza, anche medici e infermieri passavano da un intervento chirurgico a un altro senza lavarsi le mani. Oggi miliardi di persone si lavano le mani giornalmente non perché hanno paura della “polizia del sapone”, ma perché capiscono l’importanza di farlo. Io mi lavo le mani con il sapone perché ho sentito parlare di virus e batteri, capisco che questi piccoli organismi causano malattie e so che il sapone può eliminarli.

Ma per raggiungere un tale livello di adesione e cooperazione, è necessaria la fiducia. La gente deve avere fiducia nella scienza, nelle autorità pubbliche e nei media. Negli ultimi anni, politici irresponsabili hanno deliberatamente minato la fiducia nella scienza, nelle autorità pubbliche e nei media. Ora questi stessi politici irresponsabili potrebbero essere tentati di prendere la strada dell’autoritarismo, sostenendo che non ci si può fidare della gente per fare la cosa giusta.
Se in questo delicato momento storico non facciamo attenzione a tale tema, potremmo finire con il veder andare in fumo le nostre libertà più preziose, con l’alibi che sia l’unico modo per salvaguardare la nostra salute.


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