Voto, vuoto. Votare, vuotare, svoltare

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«SE ESERCITI IL VOTO, HAI QUALCHE SPERANZA.
SE ESERCITI IL VUOTO, NON PUOI NEMMENO LAMENTARTI».
(Mangla, 5/11/2012)

Raga’, io a votare ci vado.
Sì, vi vedo, vi ascolto, leggo quello che scrivete: siete tutti tentati di starvene a casa. E non me la sento di biasimarvi. Però l’astensionismo ha un grosso difetto: finisce per aggravare i problemi.
Non è sterile idealismo, il mio, e non credo sia neanche candida ingenuità. Il voto, per quanto cloroformizzato e sterilizzato dai menu asfittici e torbidi proposti a monte dai partiti, è l’unica possibilità, per ognuno di noi, di gestire in qualche modo i cambiamenti. Il mondo cambia ogni giorno: infilare la testa sotto la sabbia e non affrontare i cambiamenti, pensare che la nostra vita, per buona o mediocre o cattiva che sia al momento resterà tale, è un errore fatale. PUÒ ANCORA PEGGIORARE.
Di conseguenza, anche non esercitare la nostra unica possibilità di influenzare l’andamento delle cose — il voto, appunto — è un errore fatale.
Eppoi sono sopravvissuto ai democristiani che deviavano servizi segreti bombaroli e governavano in joint venture con la mafia, ai socialisti discotecari che si magnavano la qualunque, ai leghisti che brandivano cappi e volevano sparare agli immigrati (oggi si spara davvero!), ai berlusconiani che hanno rimbambito mezzo Paese con i loro show di plastica e cerone. Di cosa potrei più aver schifo?
Peraltro, finora ho perso quasi tutte le elezioni in cui ho votato. Ma che significa? L’importante è esserci! Provarci! Almeno per neutralizzare il mio ‘nemico’, per annullare, col mio voto, il voto di qualcun altro che vota il peggio.

«L’astensione è la stitichezza della Democrazia. Se non si “espelle”, gli scarti restano tutti dentro». (Giovanni Nostro, 2012)
Andare a votare, non cedere all’astensionismo, ha un suo semplice perché: se tu non voti, un altro voterà il candidato/partito che proprio non vorresti; be’, il tuo voto servirà ad annullarlo.
Hai due soli modi per cambiare le cose: e il secondo è troppo sanguinoso.
C’è sempre un candidato/partito che fa per te. Guarda bene.

Di seguito alcuni argomenti (sbagliati) e controargomenti.

«Mi sono stancato di votare, non cambia mai nulla».

“Stancarsi” di votare è come “stancarsi” di lavorare, di fare le vacanze, di crescere figli, di mangiarsi una pizza, di comprarsi le scarpe… Non ci si può “stancare” di essere cittadini di un Paese democratico: meglio allora rinunciare alla cittadinanza e trovarsi un atollo deserto. La merda prospera proprio grazie a chi si “stanca” di usare l’unica arma a disposizione del cittadino: quelli della merda avranno sempre qualcuno che li vota.

«Tu sei libero di votare chi ti pare e piace… ma anche io sono libero di non credere più a nessuno».

E che razza di “libertà” è? La libertà di scegliere di non scegliere, che è poi la libertà di sentirsi a posto con la coscienza, perché tanto poi la “colpa” è di chi, grazie a te, ha scelto anche per te?

«Ma per chi voto? Non mi riconosco in nessuno!»

Vota l’idea più distante in assoluto da quella ti sta più sullo stomaco in assoluto. Ti sta sullo stomaco lo schieramento di destra? Vota i nostalgici comunisti. Ti sta sullo stomaco la Lega? Vota LeU. Ti stanno sullo stomaco le ideologie e vuoi buttare tutto all’aria? Vota Cinquestelle. Però VOTA! Altrimenti vinceranno i soliti noti.
Mai come a questo giro c’è stata tanta scelta!
Ti senti un vero fascista, praticamente un nazista? Puoi scegliere tra Italia agli italiani di Roberto Fiore e CasaPound Italia di Simone Di Stefano.
Ti senti un fascista e basta? Per te c’è Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (e se Meloni non ti garba, c’è il Movimento sociale italiano).
Sei razzista? Vota Lega Salvini Premier.
Sei razzista non solo con i negri, ma anche con chi è nato sotto il Po? Per te c’è Prima il Nord, oppure Grande Nord.
Il Nord è troppo grande? Vota Liga Veneta, Friul o Front Furlan.
I fascisti sono troppo laici per te? Il Popolo della famiglia di Mario Adinolfi potrebbe fare al caso tuo.
Anche Mario Adinolfi è troppo laico? Vota Sacro Romano Impero Cattolico di Mirella Cece.
Troppo antico? Italia Madre di Irene Pivetti.
Sei di centro? C’è Civica popolare di Lorenzin, ma se ti sembra troppo disinvolta, Noi con l’Italia di Fitto e Cesa.
Sei di centrosinistra? Vota PD.
Hai nostalgia della sinistra (ehm) di una volta? Liberi e Uguali.
Hai nostalgia di Romano Prodi? Vota Insieme.
Hai nostalgia di Giuseppe Saragat? Vota PSDI.
Hai nostalgia di Craxi? Vota PSI.
Sei per l’autonomia sarda? Vota Partito Sardo d’Azione (oppure Autodeterminazione, che mette insieme altre otto sigle).
Sei per l’autonomia operaia? Vota Potere al popolo! (con il punto esclamativo).
Neppure Potere al popolo! ti convince? Prova Per una sinistra rivoluzionaria di Claudio Belotti oppure un classico, il Partito comunista!
Sei liberale? È tornato il PLI.
Sei liberista, europeista e per i diritti civili? +Europa di Emma Bonino può fare per te.
Sei liberista, ma Bonino proprio no? Puoi scegliere tra Dieci volte meglio e i Federalisti democratici europei.
Sei per la libertà, specialmente per la tua? Per te c’è Forza Italia.
Non sei per la libertà, anzi vorresti tutti in galera? Vota Movimento 5 Stelle.
Anche loro sono come tutti gli altri? Il Movimento Gente Onesta potrebbe piacerti.
Sei un poeta? Il Movimento Poeti d’Azione di Alessandro D’Agostini forse ti titilla.
Sei un fisico, ami la scienza e odi le bufale? W la Fisica di Mattia Butta.
Mandi ancora Sms? C’è perfino il partito Sms.
Sei europeista, ma solo quando si parla di autotrasporti? Il Movimento Autonomo Autotrasportatori europei può andare?
Sei un disoccupato precario meridionale italiano? C’è il Movimento disoccupati e precari meridionali-italiani.
Sei pensionato e/o invalido? Pensionati Invalidi.

Votare serve a vuotare: la pattumiera di Montecitorio e Palazzo Madama (e dunque di Palazzo Chigi).
Votare serve a svoltare. E accade sempre: in qualche modo, si svolta.

Finito con gli slogan (il pubblicitario fa sempre capolino) e con l’impatto emotivo, da qui in avanti vado di materia grigia.

LA MIA SCELTA RAGIONATA

Parto da quelli che per mio vissuto e pensiero tendo a escludere a priori. Ossia neri, neroni, nerini e pseudofasci.
A parte il fatto che dentro ci sono i soliti condannati e rinviati a giudizio per mafia, voto di scambio e reati finanziari, più le solite facce tratte dai reality, la coalizione di destra ha una ricetta economica (la “flat tax”) inventata per favorire ancora di più i ricchi e portare allo sfascio il sistema fiscale (e quindi tutto il Paese) in capo a un paio di anni. Pericolosissimo. Ma sono i leader, a darmi in particolare il voltastomaco.

✔︎ Di Berlusconi non serve nemmeno parlare, dopo i 24 anni che pure le pietre conoscono.

✔︎ Salvini lo considero un male assoluto: parlamentare europeo super-assenteista, arrampicatore populista come pochi facendo leva sugli istinti peggiori del Paese, ha messo insieme specialmente al Sud tutto il peggio dei “riciclati” e degli “impresentabili” di destra. Da meridionale poi ho il permesso di nutrire più di un dubbio sulle intenzioni della Lega. Intanto, fra le proposte di legge del Carroccio depositate in Parlamento dall’inizio di questa legislatura, quelle rivolte al Sud si contano sulle dita di una mano e tra questi, uno riguarda il tema immigrazione a Lampedusa e Linosa (non esattamente “crescita e sviluppo”). Ma poi come dimenticare «l’Abruzzo è un peso morto per noi come tutto il Sud» (Borghezio, 2011), «Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani» (Salvini, 2009, Festa di Pontida), «Forza Etna, Forza Vesuvio, Forza Marsili!» (Donatella Galli, 2012), «Ci siamo rotti i coglioni dei giovani del Mezzogiorno, che vadano a fanculo i giovani del Mezzogiorno! AL SUD NON FANNO UN EMERITO CAZZO DALLA MATTINA ALLA SERA. Al di là di tutto, ci sono bellissimi paesaggi al Sud, IL PROBLEMA È LA GENTE CHE CI ABITA. Sono così, loro ce l’hanno proprio dentro IL CULTO DI NON FARE UN CAZZO DALLA MATTINA ALLA SERA, mentre noi siamo abituati a lavorare dalla mattina alla sera e ci tira un po’ il culo» (Salvini, 2013, Congresso Giovani Padani), «Bisogna bloccare l’esodo degli insegnanti precari meridionali al Nord» (Salvini, 2014), «Non è un caso che siano africani o meridionali ad andarsene, gente senza cultura del lavoro» (Salvini, 2014)…?
Signor Salvini, io per sua informazione mi faccio un mazzo così dalla mattina alla sera da quando avevo 23 anni, e così la gran parte della gente che conosco e che mi sta intorno, «qui al Sud». Altrettanto non può dire invece la gente che la rappresenta a queste elezioni, «qui al Sud», che è quella della “Reggio da bere” e dei 679 milioni di buco (in meno di un decennio) nei conti della città in cui vivo: i loro danni li sto pagando da 5 anni — e chissà ancora per quanti anni — con le aliquote massime nelle tasse locali. No, giusto per sua informazione.

✔︎ La Meloni mi fa ridere solo a sentirla: se chiudo gli occhi me la immagino pronta col tirapugni nelle prime file in una rissa fra coatti fuori da un’osteria dei Castelli Romani.

✔︎ I rigurgitini fascisti (CasaPound, “Italia agli italiani” alias Forza Nuova), che per fortuna i sondaggi dicono non arrivare neanche all’1%, non meritano altro al di là della semplice menzione finale per chiudere l’elenco degli “esclusi in partenza”.

E passo agli altri.

✔︎ Il PD… eh, be’. Faceva già accapponare la pelle 5 anni fa (qui ho raccolto i link dei miei strali 2009/2013 su Facebook): ora Renzi si è mangiato tutto, compreso il suo partito, di cui restano solo le ossa. Obiettivo finale: garantire la sopravvivenza politica a se stesso e ai suoi cari puntando al fatto che la fine biologica di Berlusconi gli garantisca l’eredità.
L’idea renziana è: il nuovo bipolarismo non è più tra centrodestra e centrosinistra, ma tra liberali-europeisti da una parte e populisti-anti Europa dall’altra. Quel che sta facendo Macron in Francia, da esportare in Europa (c’è già dentro Albert Rivera di Ciudadanos): nuovista, efficientista, vincista, giovanilista, liberista. (Della partita, in Italia, sarebbe anche Emma Bonino. Come “madre nobile”.) Da qui l’allarme dei vari Prodi, Veltroni, perfino il semi-rincitrullito Scalfari: non a caso ridiscesi a rotta di collo nei convegni e in TV a schierarsi attorno ai comprimari di Renzi. Il PD com’era concepito ai suoi inizi, un progetto in cui fondere la tradizione dei cattolici di sinistra e quella degli ex comunisti, è ora più vicino che mai alla fine. Ed è così che, il 5 Marzo, Matteo esporrà la questione della sconfitta: «Vedete», dirà, «il problema del PD è europeo e non italiano (e non mio!), è una crisi di consensi di tutta la socialdemocrazia nel Vecchio Continente… in Germania l’SPD ha appena preso il 20% e poi è finito nel caos… in Spagna il PSOE ha solo il 22… in Francia il glorioso PS di Mitterrand è proprio morto».

Però Boschi a Bolzano e Casini a Bologna a parte, è quaggiù dalle mie parti che si è davvero superato nel “menu”: ci sono il rampollo di una leggendaria famiglia PSI candidato col PD ma che sta per diventare consigliere regionale con Forza Italia, e uno storico esponente di Forza Italia — non un peone qualunque, eh: avvocato di Tarantini, Scajola, Berlusconi e socio di Niccolò Ghedini! — candidato uninominale PD al Senato. Giano bifronte non avrebbe saputo fare meglio!

Ma poi, per rintracciare le ragioni per tenersi alla larga dal PD basta andare a guardare i veri motivi della débâcle di Renzi: mille giorni al governo e la crisi che non passa, le tasse che non calano, il lavoro che non c’è, la casta che impone sacrifici agli altri, gli scandali Etruria, Consip, Expo, Mose, Mafia Capitale, etc., la gestione sciagurata dei crac bancari, le aspettative create con promesse mirabolanti… Se da piccolo lo chiamavano “il Bomba”, un motivo c’era. Ed è lo stesso che porta a non votarlo.
Il Partito Democratico anche stavolta sta candidando in molti seggi (nel mio, come detto, meglio sorvolare) delle persone che non presentano alcun attributo convincente a volerli parlamentari e propri rappresentanti. Lo fa sulla base di valutazioni e scelte in alcuni casi esecrabili e in altre incomprensibili, e in ogni caso non spiegate agli elettori. E sono decenni che scelte che non sono solo opinabili, ma del tutto assurde e prive di valore e logica, vengono compiute e affibbiate agli elettori per poi chiedere loro di avallarle «perché sennò vincono gli altri». I risultati di questo procedere nella gestione politica dell’Italia e nella formazione di classi dirigenti sono sotto gli occhi di tutti: abbiamo votato per decenni uova oggi e nessuno ci ha mai lasciato vedere una gallina domani. Col risultato di ritrovarci con frittate. Caro il mio rottamatore fiorentino de ’sti zebedei, se volevi convincermi candidavi Luigi Manconi (che invece hai lasciato a casa), non gli ex-Forza Italia come quello che hai messo nel mio seggio.

✔︎ Bonino? Persona di ottima reputazione, nota anche per la sua caparbietà. Ma questa è superficie pura, è memoria resettata. È l’oggi. È invece lo ieri, che preoccupa per domani. Aria fritta, slogan reiterati — essenzialmente sui diritti civili, la grande bufala dietro la quale si nascondono spesso interessi poco raccomandabili —, Emma, campionessa dell’umanitarismo, con la mano destra incoraggiava i bombardamenti “dissuasivi”, con la sinistra invocava tregue e missioni di pace, possibilmente con lei che arrivava sul posto al momento giusto, in favore di telecamera.
La Emma nazionale, dice il suo curriculum, «si è battuta per l’istituzione del Tribunale per i crimini di guerra nell’Ex Jugoslavia»; tacendo tuttavia che ciò avvenne dopo essersi battuta a favore dell’aggressione Nato alla Jugoslavia in nome dei diritti dei kosovari, che evidentemente valevano di più di quelli dei serbi. (Del resto anche Pannella si dichiarava pacifista, e indossava la divisa dell’esercito croato nel pieno del conflitto jugoslavo.)
Miracolata politica che ha saputo con cinismo infilarsi in ogni pertugio della scena nazionale, saltellando da un partito all’altro, Bonino è più astuta del suo leader trapassato, perché riesce a tessere reti con tutti, nell’area compresa dal centrodestra al centrosinistra. Proprio questa sua dimensione fittiziamente super partes, sotto lo slogan fintamente europeista, può garantire alla signora un risultato notevole: anche grazie all’allure da guru che ha assunto negli ultimi tempi, non è da escludere che lavori sul lungo termine (se la salute l’assisterà) per la successione a Mattarella. In fondo una quota rosa al Quirinale si attende da tempo. È da quando aveva 28 anni che tra Parlamento italiano ed europeo, ministeri, consigli regionali, cariche internazionali, fa la politica di professione, del tutto indifferente allo schieramento (“trasversalità”, la chiamano i Radicali con molta autoindulgenza e una spruzzata di ipocrisia), che è del resto essenzialmente il suo: il PdB, il Partito di Bonino. Con un curriculum come il suo, Bonino ha le carte in regola per fare la prima Presidentessa di un Paese dove fioriscono i voltagabbana e i chiacchieroni.
Al di là di tutto, il fatto è che il 4 marzo votando lei si vota il PD (cioè Renzi). Anche perché i voti dati alle liste tra l’1 e il 3 per cento non eleggono candidati di quelle liste, ma vanno solo a ingrossare i partiti della stessa coalizione che superano il 3%, e per +Europa raggiungere la soglia non è facile. Eppoi Emma in termini di diritti sociali e di economia ha idee molto diverse dalle mie: è d’accordo con Monti, con Schäuble, con la Troika, con tutti quelli che hanno trasformato l’«Europa» in una trappola mortale. È una liberista. I Radicali il liberismo ce l’hanno all’art. 1 del loro statuto. Purtroppo, è proprio il liberismo ad aver distrutto il benessere che avevamo fino a 10/15 anni fa.

✔︎ Liberi e Uguali? L’ho già detto il giorno che si misero insieme…

…e non cambio di una virgola.
Grasso è l’uomo che ringraziava Berlusconi «per la lotta alla mafia» (!) e che insieme alla Prestigiacomo (una berlusconiana, ça va sans dire) nel 2011 ha messo una pietra tombale sulla vergogna delle ‘navi dei veleni’, precludendo per sempre la verità… ed è il magistrato che a Palermo si scontrava quasi sistematicamente con Gian Carlo Caselli e i suoi “allievi” Scarpinato e Lo Forte sul processo Andreotti, e sarebbe diventato Procuratore nazionale antimafia grazie a una legge berlusconiana ad personam (anzi, contra) che escludeva Caselli (salvo rispondere, anni dopo e già in sella, alle critiche di Marco Travaglio sospirando che quella legge sì, era proprio brutta, eh, sticazzi). D’Alema è quello che con Berlusconi fu il primo a flirtare, 20 anni fa, ed è l’uomo che ha fatto a pezzi la sinistra in Italia, mooolto prima di Renzi. Ci sarebbero dentro anche l’eterno indeciso Pippo Civati, lo stimabile ma vacuo e inutile Pigi Bersani, e Speranza, uno cui andrebbe aggiunto il suffisso Senza- (e a proposito di “senza”, come dimenticare Fassina, «Fassina chi?», quello che meno di 4 anni fa diceva pubblicamente: «Su Matteo ho sbagliato, è l’uomo giusto al posto giusto»…). Ma contano quanto il due di coppe con briscola a mazze. Tra l’altro è un film già visto: si era partiti dalle buone idee del Brancaccio, con un forte protagonismo della società civile, e si è finiti coi partiti che monopolizzano quel percorso. Non è un caso che Tomaso Montanari abbia preso le distanze da Liberi e Uguali. Anzi, mi stupisce che Anna Falcone abbia scelto di candidarsi con Grasso (e del resto mi ha stupito pure Civati).

In definitiva, questo non è altro che il partito delle poltrone per quelli che hanno perso la lotta poltronistica con Renzi: tutta gente inconsistente che nasconderemo presto nella scatola di cartone dove già abbiamo riposto quelli come Bertinotti e Vendola.

✔︎ “Insieme”, la lista coalizzata con il PD formata dal PSI di Riccardo Nencini, dai Verdi di Angelo Bonelli e da Area Civica di Giulio Santagata, il tutto con l’investitura di Romano Prodi? A parte il fatto che rischia di non arrivare manco all’1% (e quindi il voto sarebbe perso, non andrebbe neanche alla coalizione), basterebbe il primo dei nomi a tenermi lontano (e già solo sentire «PSI»…). Il fiorentinissimo Viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini è sopravvissuto a Bettino Craxi e alla devastazione post-Tangentopoli, ha attraversato indenne l’èra berlusconiana nonostante l’amicizia con Riccardo Fusi — già socio di Denis Verdini — e gli uomini della “Cricca”, traghettando i socialisti fino al governo del Rottamatore di Rignano. Si è ritrovato anche nell’inchiesta che ha portato in carcere Incalza e bruciato Maurizio Lupi. Nencini è di quei tipi che, mentre il vicino di casa incendia il bosco, anziché chiamare pompieri e polizia intrattiene il villaggio sull’opportunità di inventare gli alberi ignifughi. Così ogni volta che arrestano qualcuno con l’accusa di aver rubato sugli appalti, il viceministro scatta come una molla e propugna la riforma del codice degli appalti. L’ha fatto dopo lo scandalo Expo, dopo lo scandalo Mose, dopo Mafia Capitale, naturalmente l’ha fatto dopo l’arresto di Ercole Incalza e le dimissioni del ministro Lupi con i quali condivideva l’ufficio. Mai una parola su come ha fatto a non notare niente di strano in quel Ministero. Bonelli dei Verdi invece è un bravo figliolo, sì (come Pippo Civati). Purtroppo non basta (come Pippo Civati). È la solita questione del due di coppe con briscola a mazze. Anyway tutti questi, Nencini Bonelli Santagata, sono la “terza gamba del PD”, quindi di che stiamo parlando?

✔︎ Civica Popolare della Lorenzin? Uhuh, la socia di Alfano e Lupi e Cicchitto, a loro volta tutti ex-soci di Berlusconi? Dài, passiamo oltre, ’che peraltro questi manco l’1% vedono…

✔︎ Cinquestelle? Qua ci sarebbe da scrivere un romanzo.
Nel 2013 era nata una speranza cui anch’io su questo blog avevo dato un po’ di credito. Quel 2013 sembra un’èra geologica fa. Al di là degli ultimi episodi (“rimborsopoli”, il programma scritto col copincolla, i candidati massoni) e delle infinite contraddizioni (viva lo streaming a morte lo streaming, le epurazioni, la farsa del voto online con affluenza ridicola, voto non certificato, risultati e candidati manipolabili dalla Casaleggio Associati, l’«uno-vale-uno» diventato poi “direttorio” e infine Di Maio-faso-tuto-mì, la paralisi della Capitale in mano alla Raggi), non voglio rinunciare alla convinzione che in Italia abbiamo bisogno di competenze certe, di gente che sa di cosa parla, di persone che in Parlamento sappiano la differenza tra un’interpellanza e un’interrogazione. Non voglio arrendermi a questa astrusa volontà di voler “competere senza competenze”: tipologia di atteggiamento a capo della quale si è messo il Movimento 5 Stelle con la presunzione di voler rappresentare “il popolo vero”, “laggente”. Una presunzione capace di mettere in discussione temi come l’Olocausto, certezze come i vaccini e nei casi più radicali addirittura se la Terra è tonda davvero o magari quello della rotondità è un complotto. Una organizzazione peraltro ambigua (appartiene a una società di consulenza, e se non obbedisci ti tolgono l’uso del marchio come si fa nei franchising) con la tendenza a predisporre il Paese verso un baratro fatto di cattiva gestione e totale ignoranza sul funzionamento di governo: mentre al contrario abbiamo bisogno di autorevolezza, visione non fantascientifica, certezze, rassicurazioni.
A fine Febbraio è arrivata la “squadra di governo” pentastellata, presentata addirittura al Quirinale in anticipo (via email). E questa “squadra” è molto diversa dal messaggio ribellista, rivoluzionario, spesso verbalmente violento, con cui il M5s si è affermato nell’ultimo decennio, dal primo Vaffa-Day in poi: i 17 presentati a tre giorni dal voto sono signori pacati e moderati, docenti e professionisti che con poche eccezioni non hanno mai messo piede a un vaffaday e fino a ieri votavano pure partiti diversi dal M5S. Pochissimi i grillini di lungo corso, molti gli esperti e i competenti di vario campo. L’indirizzo politico mette curiosità: per i ministeri economici per esempio i pentastellati propongono una terna di keynesiani, Roventini, Tridico e Fioramonti. Eppure, non mi incantano. Mi sembra più che altro una berlusconata, un amo elettorale, la trovata mediatica di un governo farlocco che non vedrà mai la luce — solo figurine, perché tanto poi comanda Casaleggio —. Peraltro, nei curricula di tre delle nuove ministre figurano gli incarichi alla Link Campus University, la facoltà fondata e diretta da Vincenzo Scotti, classe 1933, ex ministro democristiano perno della Prima Repubblica: si vede che per Di Maio, sempre più democristiano anche nelle frequentazioni oltre che nell’aplomb, l’università del conterraneo è garanzia di qualità.
M5s gioca la sua partita sulla dissonanza che l’incompetenza crea, gioca sulla finta partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche, portando personaggi inconsapevoli che gridano a comando premendo i tastini della Camera e del Senato quando Casaleggio glielo dice. Ma io non metterei mai un mio figlio nelle mani di uno che mette in discussione i vaccini, come non darei mai il mio appartamento in mano a un architetto che non sa la differenza tra un pilastro portante e una semplice colonna, e mai darei una cattedra di matematica a una persona che non sa risolvere un’equazione.

E poi il messaggio che siamo tutti onesti quando aderiamo al MoVimento, mentre son disonesti tutti gli altri (soprattutto i critici del MoVimento), determina un’idea divisiva, contrapposta e partigiana del Paese: che privilegia non un pensiero di “bene comune” da perseguire raccogliendo più consensi possibili tra gli italiani (ed estendendo la volontà di collaborazione e convivenza positiva anche ai non appartenenti al MoVimento), ma uno scenario in cui c’è sempre un “noi contro voi”, nel quale il “voi” è prezioso e decisivo per conservare e aumentare il consenso e il senso del progetto: un nemico, un capro espiatorio. È un disegno che per sua natura eccita e stimola i peggiori sentimenti delle persone, alimentandone risentimento, rancore, indignazione, piuttosto che inclinazioni più costruttive e proficue, e creando competizioni, conflitti e attriti tra i suoi stessi aderenti, come dimostra la quota esagerata e frequente di fratture, tensioni, espulsioni, abbandoni. Tipica dei culti e delle istituzioni rigide e intolleranti. Il linguaggio — anche dove M5s vince (Roma, Torino) — è sempre in modalità “combattere”, “resistere”, “difendersi”.
C’è dentro un’idea violenta e pericolosa della convivenza e della cittadinanza. Non si può migliorare un Paese con un percorso simile: al massimo si crea una guerra civile, o una dittatura.

L’incompetenza e l’ira come valori, «si impara facendo», «se sei con noi bene altrimenti per te c’è olio di ricino»? Anche no, grazie!

✔︎ “Noi con l’Italia-UDC” di Cesa, Lupi, Romano e Fitto, “PRI-Ala” di Verdini e Parisi, “Civici e Innovatori” (i reduci di Mario Monti), “Democrazia Solidale” e tutte le altre sigle e sigline senza arte né parte neanche li prendo in considerazione poiché trattasi di mestieranti in cerca di poltrone.

Tolti questi, cosa mi resta? Ho eliminato tutti!

No, non tutti: è rimasta una sigla.

Siccome al seggio mi recherò comunque, come ho spiegato all’inizio, se non voglio annullare la scheda (per evitare contraffazioni) non mi resta che mettere una croce su quanto di più lontano ci sia da Berlusconi, Salvini e Renzi: Potere al Popolo. Un movimento “dal basso”, che viene dal mondo dei lavoratori precari, dei disoccupati, dei sindacati di base e dei centri sociali. Uguaglianza sociale, lavoro, welfare, parità di genere (nelle liste le donne sono circa il 40%), difesa dell’ambiente, lotta per i deboli, antifascismo sono le parole d’ordine. Nel loro dna i movimenti antagonisti, la lotta per la casa, l’America Latina, Podemos, il solito Che Guevara ma anche il subcomandante Marcos. Ci sono sindacalisti come Giorgio Cremaschi ex Fiom e politici come Maurizio Acerbo (Rifondazione comunista, e vabbé), un’ex staffetta partigiana ed ex parlamentare come Lidia Menapace e la pasionaria dei No-Tav Nicoletta Dosio, ma anche sostenitori non candidati come l’allenatore Renzo Ulivieri e Haidi Gaggio Giuliani, madre di Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso al G8 di Genova. Bel mix romantico, e un mucchio di blabla idealisti. Il Comunismo nel Novecento ha fatto danni quanto e più del Fascismo, eppure ce n’è ancora in giro, di questi illusi che cantano “Bella ciao”: ma li posso accettare, dài. Mi sembra di ritornare ai tempi dell’università e al mio primo voto.
Mettere il segno su di loro non serve a un cazzo per governare e PaP rischia di restare fuori dal Parlamento, certo (il 3% che garantirebbe l’entrata è fissato a circa un milione di voti: impresa non facile): ma il mio voto a PaP serve più che altro a neutralizzare un’altra persona che vota per “i miei nemici”.

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Con questi miseri obiettivi potrei anche scegliere di votare Cinquestelle. Se “voto utile” dev’esserci, e se voglio sbracare il sistema, dovrei mettere la X sul M5s. Della serie «muoia Sansone con tutti i filistei»: coraggio, diamo una spallata a tutto quanto, eleggiamo quelli della setta ma almeno mandiamo finalmente a casa la merda. A livello di “peso”, sono gli unici che possono rovesciare il tavolo e cacciare la peggior classe politica che abbiamo avuto dal Dopoguerra, sono gli unici che possono rompere i piani all’establishment. Lo riconosco.
Il fatto è che non mi fido della genuinità delle intenzioni. Non mi fido di Casaleggio, di un’azienda al potere (già abbiamo subìto per vent’anni le aziende di quell’imbonitore puttaniere imbroglione). E ho comunque un Campanellino che mi ronza da qualche parte intorno a un orecchio suggerendo la possibilità di una coalizione Di Maio-Salvini, Cinquestelle-Lega. Brividi!… sarebbe il peggio in assoluto che ci potrebbe capitare nell’immediato futuro. Peggio di Trump, peggio di Orban, peggio di Erdogan. Altro che “spallata al sistema”: sostituzione del sistema con uno peggiore fascio-populista! Si rischierebbe di farsene complici.

Sì, a ’sto giro la scelta che mi si prospetta è più striminzita che mai. E poco costruttiva.

Ma tanto, comunque vada, mi sa che da questo 2018 in poi voterò una volta l’anno.

[EDIT del 4 marzo, subito dopo il voto]

Alla fine arrivo dentro la cabina, apro le schede e penso: «Ma perché devi sprecare il voto dietro alle solite illusioni? Non prenderti in giro: c’è un solo modo di mandarli a casa, di dare una scossa».
Mi son fatto tutte queste pippe sulla “vera sinistra”, sugli ideali di una vita… e invece arrivato là mi sono ricordato di Vendola, di Bertinotti, di Veltroni, di Capanna e di tutta la gente che ho visto passare nel campo progressista in 36 anni. In quella cabina mi sono sentito stanco come mai nella mia vita: non ce l’ho fatta a gettare via per l’ennesima volta il mio voto. Se “protesta” dev’essere, va fatta seriamente.
«Butti nel cesso le tue idee!». No. Soltanto, non ho voluto chiudermi nel solito 1/2% che non serve mai a cambiare una cippa. E invece qua ci vuole un po’ di bordello. Bisogna rovesciare il tavolo. «Potere al Popolo, con tutto il rispetto, è nata da appena 3 mesi, quale tavolo può rovesciare?», mi son detto.
Cioè, ragazzi, Viola Carofalo e tutti gli altri: sono con voi con tutto il cuore, guardate, quando dite che bisogna ricostruire una casa per la Sinistra, vi auguro tutto il bene… ma! Quando avevo 18 anni è venuto Mario Capanna a dirmi che si doveva ricostruire una casa per la Sinistra, e si è preso il mio (primo) voto, e ciao, chi l’ha vista, ’sta casa. È venuto Occhetto a dirmi che si doveva ricostruire una casa per la Sinistra, si è preso il mio voto e ciao, chi l’ha vista, ’sta casa. È venuto Veltroni, è venuto Romano Prodi, è venuto Bertinotti, è venuto Nichi Vendola a dirmi che si doveva ricostruire una casa per la Sinistra, si sono presi il mio voto e ciao, chi l’ha vista, ’sta cazzo di casa, e io ho ormai 54 anni. Ricostruite, Viola: io ci sarò. Ma non a questo giro.

L’unica parte in grado di rovesciarlo, quel tavolo, di rompere il dannato status quo che ci sta mangiando vivi lentamente, attualmente è il gruppone della Casaleggio.
Perciò sarebbe la scelta più sensata. A costo di correre il rischio di un governo “populista-sovranista”, e confidando nel fatto che, in caso, non durerebbe: populisti e sovranisti promettono promettono promettono, ma poi per mantenere ci vogliono montagne di soldi. L’Italia non ne ha più. Quindi un governo del genere sbatterebbe alla prima curva (una manovra economica annuale sbagliata) e durerebbe 12, 18 mesi al massimo. Apnea sopportabile, tutto sommato. E comunque non è detto che accada.

Così la mano con la matita, come partendo da sola, è andata a mettere la X lì. L’ho fermata appena una attimo prima che scrivesse. Anzi, per l’esattezza l’ho deviata: ho messo la X sul bordo della scheda. Poi l’ho ripiegata, sono uscito dal cubicolo e ho imbucato la mia scheda. Per la prima volta in vita mia ho reso inutile il mio voto. Non ci posso credere.

(Ok, ragazzi, ormai è andata: ora sono disposto ad assistere a qualsiasi cosa, serenamente quanto disperatamente.)

[EDIT del 7 marzo, a scrutini finiti]

RIFLESSIONE POST-VOTO

Il popolo italiano, nella sua stragrande maggioranza, vuole più destra. E la vuole populista, rabbiosa, xenofoba, antiscientifica, bigotta e vogliosa di menare le mani. Cento anni tondi dopo, l’humus è lo stesso di quello in cui germogliarono i Fasci: manca solo un D’Annunzio che vada a occupare Fiume.
Il 4 marzo le destre populiste hanno preso due voti su tre: chi è di sinistra, chi ha una visione della vita “di sinistra”, si deve rassegnare all’idea di far parte, dati alla mano, di una minoranza esigua. Per giunta, divisa in modo irreparabile. Se anche si giungesse all’unità di tutti quanti non si otterrebbe niente: quelli di sinistra sono meno della metà degli “altri”. Bisogna farsene una ragione.

Non è neanche un problema di offerta politica: il problema — brutta notizia — è la domanda. In Italia, nel 2018, è drammaticamente in minoranza chi ritiene di avere bisogno della sinistra e di ciò che essa persegue: giustizia sociale, solidarietà, equità, tolleranza, laicità. Il 4 marzo gli elettori “di sinistra” non sono stati a casa, l’affluenza alle urne lo dimostra. Semplicemente, sono andati a votare e hanno scelto una delle tante destre populiste disponibili.

Di fronte a risultati di questo genere e alla portata lunga che sembrano avere è inutile qualsiasi tentativo di lotta e di salvataggio del Paese avendo in mente ideali progressisti. Chi è di sinistra si può riposare, fare altro, difendersi (e dovremo difenderci, oh sì che dovremo) e aspettare. Aspettare, aspettare.
L’ultimo shift di questo tipo (tra l’altro meno violento) è avvenuto nel 1994 e ci ha regalato vent’anni di Berlusconi e di imbarbarimento morale e culturale.

Di sicuro, chi è di sinistra, non farà alcun tentativo per contribuire a migliorare questo Paese. E non per fare gli offesi. È che l’Italia in larghissima maggioranza non vuole quello che vuole chi è “di sinistra”. Non ci sono proprio punti di contatto o convergenza. (Se provi a parlare con qualcuno, ti dice pure che «sinistra e destra sono etichette stinte di bottiglie vuote».) È proprio un altro mondo incompatibile. Come può fare, peraltro, uno “di sinistra” a vivere da cittadino partecipe e leale in un Paese che si appresta a diventare una versione alla vaccinara dell’Ungheria di Orban o della Polonia? Come fai a trovare qualsiasi tipo di argomento quando ti trovi Matteo Salvini eletto a Reggio Calabria? È proprio al di là della portata della razionalità.
Chi è “di sinistra dentro” deve solo prepararsi a guardare impotente ciò che considera un orrore, col naso turato: ulteriori ingiustizie sui più deboli, violenza di Stato, riduzione enorme dei diritti, ricchi che si arricchiscono ancora di più. Più confini, meno libertà. La paura come motore dell’iniziativa politica.

Con una sola certezza, che è anche l’unico motivo di speranza: così com’è girata ora, la ruota girerà di nuovo.
Era necessario, del resto. Il tavolo andava fatto saltare.

Non stavamo andando da nessuna parte.
Tanto peggio tanto meglio.
(Punta dritto ancora più velocemente verso il fondo, vedi mai che col rimbalzo risali.)

Buon riposo, sinistra.


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