My Way. A modo suo

Tempo di lettura: 11 minuti
Esce “My Way”, la prima biografia ufficiale di Silvio Berlusconi.
Provo qui a riassumere i contenuti biografici che NON leggerete in questo libro.

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IL LEADER NARCISO

«È vero che lei è un grande narcisista?»
«Della mitologia greca non è a Narciso che mi ispiro».
«E a chi si ispira?»
«A Zeus!»

Il “leader narciso” si candida a essere il risolutore o il depositario dei conflitti e delle esperienze dei propri “follower” — i gregari, o sudditi —. È una sorta di specchio che riflette le immagini dei propri sottoposti. I follower di un leader narciso sono persone con problemi di autostima, che si sono sentiti abbandonati da piccoli (basta guardare Brunetta, Maroni, etc), hanno bisogno di affiliazione e protezione, e scelgono leader che li facciano sentire protetti e più forti.
Questo tipo di leader, oltre a rispecchiare le fantasie dei gregari, ha delle caratteristiche distintive: tende sempre ad articolare una visione del futuro, compie scelte difficili come fossero banalità, deve impressionare i follower, spesso delega poteri ai subordinati. Diventa pericoloso quando pensa che sia suo dovere realizzare le fantasie dei gregari: al posto dei fatti ci saranno i desideri, al posto della realtà simulazioni.
Il suo senso di onnipotenza si concepisce fuori dalle regole, si sente in diritto di doverle trasgredire sempre. Per un tale leader, potere e prestigio sono più importanti dell’impegno e del risultato; le migliori energie vengono spesso impiegate per progetti utili alla carriera invece che per il raggiungimento di obiettivi a lungo termine.
Il “leader narciso” ha un fragile senso di autostima (e che il “nostro” sia un uomo con bassa autostima lo dimostrano tante cose: i lifting, i capelli tatuati, i vestiti sempre identici…), e percepisce un conflitto o una critica come un attacco diretto all’essenza più profonda della propria personalità. Egli usa il potere in modo eccessivo, con fantasie persecutorie — quasi sicuramente alla base ci sono maltrattamenti infantili —, e ha sviluppato un narcisismo di tipo “reattivo”; peraltro il potere è un grande narcotico, che si accompagna alla paranoia, e chi lo possiede in genere ha lavorato duramente per ottenerlo, e non vuole rinunciarvi neanche per un istante. Spesso questo è un modo per sottrarsi alla necessità di affrontare la realtà personale, laddove si sono sacrificati i rapporti familiari, gli interessi. È paura di cadere in una non-esistenza.
A loro volta, i “follower” di questo tipo di leader beneficiano di una potenza “di ricaduta” — sono potenti ma di riflesso, è la luce prodotta dal capo a riflettersi su di loro, come i pianeti con il Sole —, e in cambio a questi “fedeli” viene richiesta solidarietà contro i “nemici esterni”.

L’unica soluzione per venire fuori da questa situazione imbarazzante, con un Paese mortificato ormai ridotto a un fascismo da barzelletta, fino a poco prima della fine del 2011 era che mister Leader Narciso continuasse a esasperare tutto in modo che i clienti — noi elettori tutti — ostacolassimo la riproduzione asessuata leader-follower, finché il suo sistema non fosse imploso per consunzione autodistruttiva del vertice (ictus, infarto, overdose di Viagra). In pratica, egli avrebbe dovuto assolutamente continuare a vessarci finché, smettendo tutti quanti insieme di votarlo, lo avessimo portato a scoppiare dentro, a schiattare, senza bisogno di violenza, terrorismo e altre azioni riprovevoli.
In realtà — e per fortuna —, il Leader Narciso cadde rovinosamente grazie alla congiuntura internazionale: Spread, Debito Pubblico, Crisi economica e, soprattutto, i sorrisini Merkel-Sarkozy.
Per 17 anni si era provato a far cadere il Leader Narciso: improvvisamente Silvio Berlusconi crollò durante una innocua conferenza stampa a Bruxelles. Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, accennando agli impegni presi dal collega italiano, si scambiarono uno sguardo e un sorrisetto a cui tutta la platea rispose con una fragorosa risata: in quell’istante preciso il mito del Cavaliere rovinò nella polvere.

«Dove non erano riusciti le firme più pesanti del giornalismo italiano del dopoguerra, dove avevano fallito vent’anni di guerra di trincea in tribunale, dove non era riuscito il continuo crollo di consensi e parlamentari, dove neppure il disastro dell’economia reale era arrivato, era riuscita una risatina in sala conferenze.
Eppure era tecnicamente immortale come giurava il suo medico personale ed ex sindaco di Catania Umberto Scapagnini. Da anni ci veniva ripetuto che a livello internazionale si nutriva solo stima e rispetto per il nostro premier, che era un tycoon, un imprenditore di successo. Quella risatina frantumò lo specchio della menzogna, lasciando il re ancora più nudo di Emilio Fede durante i bunga bunga party. Ma quanto abbiamo dovuto penare per arrivare a questo? Metà dell’Italia lo ha odiato per vent’anni, ma solo alla fine, quando l’opera di ridicolizzazione su di lui divenne quotidiana, incessante, sdoganata persino presso il suo elettorato, fu possibile finalmente abbattere il simulacro. […] PERCHÉ UNA VOLTA CHE SI MOSTRA INDISCUTIBILMENTE CHE LA STIMA INTERNAZIONALE NON È MAI ESISTITA, SI UCCIDE LA NARRAZIONE CHE SI OFFRE DI SÉ. A quel punto si è spacciati. Al tempo della rete i tempi di propagazione dei gesti comunicativi sono talmente istantanei da distruggere ogni cosa all’istante, senza neanche quelle sacche residuali di consenso che la centralizzazione dei mezzi di comunicazione di una volta lasciavano (leggi alla voce “nostalgico” e “inspiegabilmente”).
Per distruggere il mito della star brianzola non bastava certo la battutina di qualche politico o professore universitario e meno ancora le gag dei comici di sinistra, quelli erano nemici dentro la costruzione del personaggio, ricompresi pienamente dal paradigma costitutivo. L’antagonista è anzi assolutamente indispensabile alla narrazione.
Questi meccanismi sono accelerati dalla rete ma non stravolti nella loro fisionomia. La fama in rete la si acquisisce in un tempo variabile dai secondi agli anni, ma la si può comunque perdere in un secondo. È sufficiente una mossa che rompa lo schema della narrazione condivisa».

(Francesco De Collibus, “Blitzkrieg tweet”, Agenzia X, 2013)

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IL SEGRETO DEL MIO SUCCESSO CON GLI ELETTORI?
BE’, NON NE HO UNO, NE HO DIECI…

Spiegare Silvio Berlusconi agli Italiani è una perdita di tempo. Utile è invece provare a spiegare il personaggio ai posteri e, perché no?, agli stranieri. I primi non ci sono ancora, ma si chiederanno cos’è successo in Italia. I secondi non capiscono, e vorrebbero. Qualcosa del genere, infatti, potrebbe sempre accadere anche a loro. Com’è possibile che B. sia stato votato (1994), rivotato (2001), votato ancora (2008)? Qual è stato il segreto della sua longevità politica? Perché la maggioranza degli Italiani lo ha appoggiato e/o sopportato per tanti anni? Non ne vedeva gli appetiti, i limiti e i metodi? Risposta: li vedeva eccome. Se B. ha dominato la vita pubblica italiana per quasi vent’anni, c’è un motivo. Anzi, ce ne sono dieci.

1) Fattore umano

Cosa pensava la maggioranza degli Italiani? «Ci somiglia, è uno di noi». E chi non lo pensava, lo temeva.
B. vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di Calcio, sa fare i soldi, ama le case nuove, detesta le regole, racconta le barzellette, dice le parolacce, adora le donne, le feste e la buona compagnia. È un uomo dalla memoria lunga capace di amnesie tattiche. È arrivato lontano alternando autostrade e scorciatoie. È un anticonformista consapevole dell’importanza del conformismo. Loda la Chiesa al mattino, i valori della famiglia al pomeriggio e la sera si porta a casa le ragazze.
L’uomo era spettacolare, insomma, e riusciva a farsi perdonare molto. Tanti italiani non si curavano dei conflitti d’interesse (chi non ne ha?), dei guai giudiziari (meglio gli imputati dei magistrati), delle battute inopportune («è così spontaneo!»). Promesse mancate, mezze verità, confusione tra ruolo pubblico e faccende private? C’era chi s’arrabbiava e chi faceva finta di niente. I secondi, apparentemente, sono più dei primi. E infatti oggi adorano il successore, Renzi.

2) Fattore divino

B. ha sempre capito che molti italiani applaudono la Chiesa per sentirsi meno colpevoli quando non vanno in chiesa, e ignorano regolarmente sette comandamenti su dieci. La coerenza tra dichiarazioni e comportamenti non è una qualità che pretendiamo dai nostri leader. L’indignazione privata davanti all’incoerenza pubblica è il movente del voto in molte democrazie. Ma non in Italia. B. ha capito con chi ha aveva che fare: una nazione che, per evitare delusioni, non si fa mai illusioni. In Vaticano — non nelle parrocchie — si accontentano di una legislazione favorevole, e non si preoccupano dei cattivi esempi. Movimenti di ispirazione religiosa come Comunione e Liberazione preferiscono concentrarsi sui fini — futuri, quindi mutevoli e opinabili — invece che sui metodi utilizzati da amici e alleati. Per B. quest’impostazione escatologica è musica: significa spostare il discorso dai comportamenti alle intenzioni.

3) Fattore Robinson

Ogni italiano si sente solo contro il mondo (e se non proprio contro il mondo, contro i vicini di casa). La sopravvivenza — personale, familiare, sociale, economica — è motivo di orgoglio e prova d’ingegno. Molto è stato scritto sull’individualismo nazionale, le sue risorse, i suoi limiti e le sue conseguenze. B. è partito da qui: prima ha costruito la sua fortuna, accreditandosi come «un uomo che s’è fatto da sé»; poi ha costruito sulla sfiducia verso ciò che è condiviso, sull’insofferenza verso le regole, sulla soddisfazione intima nel trovare una soluzione privata a un problema pubblico. In Italia non si chiede un nuovo sistema fiscale, più giusto e più equo: si aggira quello esistente. Ognuno di noi si sente un Robinson Crusoe, naufrago in una penisola affollata.

4) Fattore Truman/“Five Million”

Quanti quotidiani si vendono ogni giorno in Italia, se escludiamo quelli sportivi? Cinque milioni. Quanti Italiani entrano regolarmente in libreria? Cinque milioni. Quanti sono i visitatori dei siti d’informazione? Cinque milioni. Quanti seguono Sky Tg24 e Tg La7? Cinque milioni. Quanti guardano i programmi televisivi d’approfondimento in seconda serata? Cinque milioni, di ogni opinione politica. Il sospetto è che siano sempre gli stessi. È il “Five Million Club”. È importante? Certo, ma non decide le elezioni. La televisione — tutta, non solo i notiziari — resta fondamentale per i personaggi che crea, per i messaggi che lancia, per le suggestioni che lascia, per le cose che dice e soprattutto per quelle che tace. E chi ha posseduto la Tv privata e controllato la Tv pubblica per trent’anni, in Italia? Come nel Truman Show, il capolavoro di Peter Weir, qualcuno ci ha… “aiutati a pensare”.

5) Fattore Hoover/estetica

La Hoover, fondata nel 1908 a New Berlin — oggi Canton, Ohio (USA) —, è la marca d’aspirapolveri per antonomasia, al punto da essere diventata un nome comune: in inglese, «passare l’aspirapolvere» si dice «to hoover». I suoi “door-to-door salesmen” (rappresentanti porta-a-porta) erano leggendari: tenaci, esperti, abili psicologi, collocatori implacabili della propria merce. Come oggi quelli della Vorwerk Folletto. B. possiede una capacità di seduzione commerciale che ha ereditato dalle precedenti professioni — edilizia, pubblicità, televisione — e ha applicato alla politica. La consapevolezza che il messaggio dev’essere semplice, gradevole e rassicurante. La convinzione che la ripetitività paga. La certezza che l’aspetto esteriore, in un Paese ossessionato dall’estetica, resta fondamentale (tra una bella figura e un buon comportamento, in Italia non c’è partita).

6) Fattore Zelig

Immedesimarsi negli interlocutori: una qualità necessaria a ogni politico. La capacità di trasformarsi in loro è più rara. Il desiderio di essere gradito ha insegnato a B. tecniche degne di Leonard Zelig, camaleontico protagonista del film di Woody Allen. Padre di famiglia coi figli (e le due mogli, finché è durata). Donnaiolo con le donne. Giovane tra i giovani. Saggio con gli anziani. Nottambulo tra i nottambuli. Lavoratore tra gli operai. Imprenditore tra gli imprenditori. Tifoso tra i tifosi. Milanista tra i milanisti. Milanese con i milanesi. Lombardo tra i lombardi. Italiano tra i meridionali. Napoletano tra i napoletani (con musica). Andasse a una partita di basket, potrebbe uscirne più alto di Shaquille O’Neal.

7) Fattore Harem

L’ossessione femminile, ben nota in azienda e poi nel mondo politico romano, è diventata di pubblico dominio nel 2009, dopo l’apparizione al compleanno della diciottenne Noemi Letizia e le testimonianze sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli. B. dapprima ha negato, poi ha abbozzato («Sono fedele? Frequentemente»), alla fine ha accettato la reputazione («Non sono un santo»). Fino a che non è arrivato lo tsunami Ruby Rubacuori, tutte queste vicende non l’avevano neanche scalfito: aveva perso la moglie, ma non (fino al 2011) i voti. Molti Italiani preferiscono l’autoindulgenza all’autodisciplina; e non negano che lui, in fondo, fa ciò che loro sognano. Non c’è solo l’aspetto erotico: la gioventù è contagiosa, lo sapevano anche nell’antica Grecia (dove veline e velini, però, ne approfittavano per imparare).

8) Fattore Medici

La Signoria — insieme al Comune — è l’unica creazione politica originale degli Italiani. Tutte le altre — dal feudalesimo alla monarchia, dal totalitarismo al federalismo fino alla democrazia parlamentare — sono importate dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Spagna o dagli Stati Uniti. In Italia mostrano sempre qualcosa di artificiale: dalla goffaggine del Fascismo alla rassegnazione del Parlamento attuale; la Signoria risveglia, invece, automatismi antichi. L’atteggiamento di tanti italiani verso B. (e oggi verso il suo successore Renzi) ricorda quello degli Italiani di ieri verso il “Signore”: sappiamo che pensa alla sua gloria, alla sua famiglia e ai suoi interessi; speriamo pensi un po’ anche a noi. «Dall’essere costretti a condurre vita tanto difficile» scriveva Prezzolini, «i Signori impararono a essere profondi osservatori degli uomini». Si dice che Cosimo de’ Medici, fondatore della dinastia fiorentina, fosse circospetto e riuscisse a leggere il carattere di uno sconosciuto con uno sguardo. Anche B. è considerato un formidabile studioso degli uomini. Ai quali chiede di ammirarlo e non criticarlo; adularlo e non tradirlo; amarlo e non giudicarlo.

9) Fattore T.I.N.A.

T.I.N.A., “There Is No Alternative”. L’acronimo, coniato da Margaret Thatcher, spiega la condizione di molti elettori. L’alternativa di Centrosinistra, fino agli interventi di Giorgio Napolitano (Monti, Letta e infine il colpo giusto Renzi) s’era rivelata poco appetitosa: coalizioni rissose, proposte vaghe, comportamenti ipocriti. Il doppio, sospetto e simmetrico fallimento di Romano Prodi (eletto nel 1996 e 2006, silurato nel 1998 e 2008) aveva un suo garbo estetico, ma si era rivelato un’eredità pesante. Gli Italiani sono realisti: prima di scegliere ciò che ritengono giusto, prendono quello che sembra utile. Alcune iniziative di B. piacevano (o almeno dispiacevano meno dell’alternativa): abolizione dell’Ici sulla prima casa, contrasto all’immigrazione clandestina, lotta alla criminalità organizzata, riforma del Codice della strada. Quando queste iniziative si dimostravano un successo, molti media provvedevano a ricordarlo. Se si rivelavano un fallimento, c’era chi s’incaricava di farlo dimenticare. Se l’unico modo per tenere insieme un’alleanza politica è possederla, B. ne aveva presto calcolato il costo (economico, politico, nervoso). Senza conoscerlo, il Leader Narciso seguì il consiglio del presidente Lyndon B. Johnson il quale, parlando del direttore dell’FBI J. Edgar Hoover, sbottò: «It’s probably better to have him inside the tent pissing out, than outside the tent pissing in» (probabilmente è meglio averlo dentro la tenda che piscia fuori, piuttosto di averlo fuori che piscia dentro). Così si spiega l’espulsione e il disprezzo verso Gianfranco Fini, cofondatore del Popolo della Libertà: nel 2010, dopo sedici anni, l’alleato aveva osato uscire dalla tenda.

10) Fattore Palio

Vincere il Palio di Siena, per una contrada, è una gioia immensa. Ma esiste una gioia altrettanto grande: assistere alla sconfitta della contrada rivale. Funzionano così molte cose, in Italia: dalla geografia all’industria, dalla cultura all’amministrazione, dalle professioni allo sport (per es., i tifosi della Lazio felici di perdere con l’Inter pur di evitare lo scudetto alla Roma). La politica non poteva fare eccezione: il tribalismo non è una tattica, è un istinto. Pur di tener fuori la Sinistra, giudicata inaffidabile, fino al 2011 molti italiani avrebbero votato il demonio. (Poi si son beccati Renzi senza neanche votarlo, ma questa è un’altra storia.)

E adesso fatevi quattro risate qui con la “bio” riscritta dagli autori di Soppressatira:

Il sottotitolo del libro è quasi come nella canzone: “I dild it my way”

Silvio nasce

“My Way”. O come dicono al Sud, I miei guai.

Sarà anche scaricabile in formato PDL.

Per i capitoli più pericolosi ha usato uno pseudonimo, Paolo.

Con questa prima uscita l’ex-Cavaliere avrà scritto più libri di quanti ne abbia letti.

Gli editori hanno subito scartato l’altro titolo proposto: “Re Litto l’eterno prescritto”.

Scartata anche l’iniziale ipotesi di uscire in tre volumi: “My Way”, “Smentisco” e “Hanno travisato le mie parole”.

360 pagine riassumibili in uno slogan: “Visse fottendo tutto e tutti”.

Sebbene il vero slogan di Silvio Berlusconi sia ispirato a quello di Steve Jobs. Stay horny, stay foolish.

Scartato anche l’incipit, che si riferiva alla versione non edulcorata di un suo famoso motto del 26 gennaio 1994: “L’Italia è il Paese che inculo”.

“My Way”: la biografia dell’uomo che ha amato il suo Paese e a cui molti italiani hanno indicato la strada per quel Paese.

A grandi linee, è la storia dell’omino Playmobil.

Silvio cresce

(Gianni l’ha già Letta.)

Entrò in politica grazie a un’idea di Stefano Accorsi.

Era il lontano 1992 quando gli venne in mente un’idea geniale per trombare: fondare un partito.

Subito dopo lo scandalo ‘Mani Pulite’ il giovane B scese in campo per difendere il Paese che amava al grido di: «Mai più mani pulite!». E, cazzo, riuscì nell’intento.

Fu definito Il nuovo che avanza (dal pasto di ieri).

Della sua politica estera resterà immortale un titolo del New York Times: «Silvio Berlusconi calls Angela Merkel ‘Unfuckable Lard-ass’».

(E resteranno immortali gli orologi a cucù.)

Cucù

Indimenticabile anche il baciamani a Gheddafi stile Il Padrino. Colpa delle abitudini del suo stalliere e del suo braccio destro, entrambi siciliani.

Silvio schiatta

Fra le sue visite più celebri quella a Gerusalemme. Quando vide tutta quella gente che percuoteva la fronte sul Muro del Pianto disse: «Coraggio, questo ve lo faccio mettere a posto da Bertolaso».

Una volta ammise orgoglioso: «Ai vertici internazionali tutti vogliono farsi le foto con me». La stessa cosa che accade con Topolino a Disneyland Paris.

Intramontabili poi le sue previsioni da premier sulla Crisi Finanziaria 2008.
9 Ottobre 2008. «I cittadini non perderanno neanche un euro».
4 Maggio 2009. «Questa crisi è una crisi psicologica».
16 Maggio 2009. «Sulla crisi comportamento colpevole dei media, la situazione è dipinta come irreversibile, ma il peggio è passato».
6 Febbraio 2010. «Nonostante questa crisi l’Italia c’è, e c’è soprattutto un governo che ha lavorato bene per tutti gli italiani, con misure lungimiranti e risultati sorprendenti».
6 Febbraio 2010 bis. «Noi ce la stiamo cavando meglio di tutti gli altri».
19 Giugno 2010. «Non siamo l’ultimo Paese d’Europa, anzi, mettendo insieme i due debiti, quello privato e quello pubblico, siamo il Paese più ricco d’Europa, un pelino sopra la Germania».
28 Settembre 2010. «L’Italia aveva bisogno di rigore e credibilità, tenendo in ordine i conti pubblici e salvaguardando i redditi dei lavoratori e delle famiglie. È stata una scelta giusta che ci ha consentito di superare la crisi e non farci trovare nella situazione di altri Paesi europei».
19 Marzo 2011. «Siamo realisti, da realisti diciamo che il nostro Paese sente la crisi meno di altri Paesi e stiamo uscendo dalla crisi non con estrema velocità ma in maniera certa».
10 Maggio 2011. «Abbiamo realizzato una vera e propria missione impossibile: abbiamo affrontato la crisi senza mettere mai, dico mai, le mani nelle tasche degli italiani. Per noi parlano i nostri risultati: in questi tre anni di crisi economica mondiale abbiamo fatto il meglio possibile nella peggiore contingenza possibile: abbiamo tenuto i conti pubblici in ordine, abbiamo salvato milioni di posti di lavoro, abbiamo garantito l’aiuto a tutti i cittadini che hanno perso il loro posto di lavoro, abbiamo messo così alle nostre spalle il picco della crisi meglio di altri Paesi, ottenendo la fiducia dei mercati».

Fra la prima e l’ultima frase, una Crisi finanziaria globale (quella del 2008, innescata dalla crisi dei Subprime e dal fallimento Lehman, costata all’Italia quasi 7 punti di PIL) e una crisi del Debito sovrano (quella del 2011, con l’Italia che correva a rotta di collo verso il default, evitato col Governo Monti e i sacrifici degli anni successivi). A partire dal 2008 l’Italia ha alternato periodi di stagnazione a veri e propri periodi di recessione, con l’ulteriore aggravante che fino al 2008 la nostra economia non è stata al passo con quella degli altri Paesi europei che, mediamente, a partire dal 2001 sono cresciuti più dell’Italia.
Fra la prima e l’ultima frase l’Italia ha vissuto: crollo delle esportazioni, stretta creditizia, PIL –6,7%, spread a 550 punti, congelamento dei salari, aumento delle imposte, tagli alle pensioni e riforma Fornero, riduzione della spesa pubblica e taglio del welfare, fallimento delle imprese, difficoltà nelle finanze familiari, quasi estinzione del ceto medio, salvataggio delle banche italiane da parte della BCE (guidata da Mario Draghi) con emissione di un doppio LTRO.
Gli italiani erano entrati nel terzo millennio con una buona dose di ottimismo. Poi, dopo il 15 settembre 2008 con la bancarotta di Lehman Brothers, tutto è cambiato. Da allora hanno perso fiducia nel futuro, hanno iniziato a diffidare dell’Europa, a guardare con sospetto gli immigrati, a percepire un senso di insicurezza non giustificato dall’andamento dei reati che pure da anni risultano complessivamente in flessione. Sono anche entrati in crisi i valori tradizionali, in primis quelli legati alla religione cattolica, così come si è affievolita la speranza di benessere alimentata, negli anni precedenti la crisi del 2008, da modernizzazione e innovazione tecnologica. Ma soprattutto è notevolmente aumentata la percentuale di coloro che si sentono esclusi dal contesto sociale ed economico e sono convinti di non poter cambiare in meglio il proprio futuro.

Promise di ripulire Napoli in tre giorni. Una forza: malgrado l’età, sempre quell’irrefrenabile voglia di scopare.

In una fase delicata della crisi fu operato alla mano sinistra. Dall’inizio della sua ventennale legislatura fu il primo problema serio creatogli dalla Sinistra.

Come uomo e politico non ebbe peli sulla lingua. E se li ebbe, non furono i suoi.

Dotato di un narcisismo non comune, passò da «Sono il miglior Premier degli ultimi 150 anni» a «Sono il più imputato dell’Universo». Da vero numero uno, fu anche l’inventore della Teoria del Big Bunga.

Bricconcello per natura, alle donne che gli chiedevano dove fosse la sua villa rispondeva sogghignando “Hard-core”.

Travolto dagli scandali con le minorenni, in realtà spesso erano i genitori a spingere le proprie figlie fra le braccia di Berlusconi. Una volta si cercava un buon partito, nell’Italia moderna si cerca direttamente il capo di un partito.

Fu generoso e di molti tesseva lodi. In particolare d’un certo Mondadori.

È stato un uomo che ha pagato a caro prezzo l’amore. Soprattutto ex-mogli e Olgettine.

Noto anche per i duetti con Apicella, si ricordano queste rime: “Di cene eleganti/ fu grande anfitrione/ peccato che al desco/ sedevan troione/ e una di queste/ truccando l’età/ stroncogli carriera/ e credibilità”.

Amava intrattenere con barzellette. Le preferite: quella del milione di posti di lavoro, quella dello stalliere eroe, quella della nipote di Mubarak.

Una volta, da premier, raccontò una barzelletta con bestemmia. Per sminuire la vicenda, Minzolini al TG1 negò l’esistenza di Dio.

A un giornalista che gli chiese se avesse secondi fini, rispose: «Mi basta quel rompiscatole di Gianfranco».

Visse con Travaglio la fine del Centrodestra.

«Venderò cara la pelle», minacciò negli ultimi giorni del suo mandato. Per forza, con quello che aveva speso di lifting…

Quando il suo carisma si affievolì qualcuno avanzò l’ipotesi che a Silvio potesse succedere Marina. I golpe dei padri ricadono sulle figlie.

Tollerò Tremonti, poi si fermò dinanzi a uno solo.

La giornata di Silvio, equamente distribuita

Fra i suoi più famosi avversari, quel Bersani che una volta proclamò: «Quando Berlusconi se ne sarà andato, io sarò ancora qua». All’opposizione.

Cercarono sempre di trascinarlo in tribunale, ci riuscirono poche volte. «Umiliante stare qui mentre al Paese serve il Governo», disse a un’udienza al tribunale di Milano. Ma andava benissimo anche detto da Palazzo Chigi.

L’attuale premier Renzi, quand’era sindaco di Firenze, fu aspramente criticato per essere andato ad Arcore da Berlusconi. Non sapeva che prima si manda il book a Lele Mora e poi si passa da Fede.

Ora di cotanto personaggio esce la biografia. Evidentemente anche lei era prescritta.

Autori: Laura Barresi, Currenti Calamo, Pietro Diomede, Eddy Losveglio ‘Donlione’, Enzo Filia, Mino Forte, Gianni Macheda, Mangla, Filippo Philly Parisi, Vit Ridichetipassa, Scemifreddi Cabaret Congelato. Illustrazioni: Mangla, Vanhacker


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