Siria, una sporca questione di gas sciita

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Altro che gas nervino: la Siria è il porto della Russia sul Mediterraneo e soprattutto è il futuro sbocco del “gas sciita” verso l’Europa.

Ci sono tre attori sul mercato della fornitura di gas all’Europa, con pipelines in gran parte ancora da realizzare: la Russia con il gasdotto “South Stream” (63 miliardi di m³ annui, un progetto Putin-Berlusconi che coinvolge Eni e Gazprom, con budget da oltre 20 miliardi di euro) attraverso Paesi dell’ex blocco sovietico, poi la UE orientale con il “Nabucco” (31 miliardi di m³, ma alimentato solo dai giacimenti dell’Azerbaijan e che quindi non può eguagliare le forniture russe) che dovrebbe attraversare Turchia, Grecia, Bulgaria, Romania e Austria e costare appena 7,9 miliardi, e infine il “gasdotto islamico” Iran-Iraq-Siria, con budget da 10 miliardi di dollari, il quale, attingendo al più grande giacimento di gas al mondo, il “North Dome/South Pars” (in comune tra Qatar e Iran), entrerebbe in competizione sia col “South Stream” che col “Nabucco”, garantendo la possibilità di rifornire di gas liquefatto l’Europa attraverso i porti del Mediterraneo della Siria. Quest’ultimo gasdotto avrebbe dovuto entrare in funzione per primo già nel 2016 ma a causa della “rivolta siriana” è stato ovviamente rinviato sine die. È un caso se la guerra in Siria è esplosa due anni fa, quasi nello stesso momento della firma del “memorandum di Bushehr” (25 giugno 2011) riguardante la costruzione del nuovo gasdotto Iran-Iraq-Siria?

I Paesi islamici sunniti, con il ricco Qatar in prima fila, inquadrano poi la nuova pipeline islamica anche dal punto di vista delle contraddizioni interconfessionali: sarebbe «un gasdotto sciita che partendo dall’Iran sciita attraversa il territorio dell’Iraq di maggioranza sciita e arriva nel territorio sciita-alawita di Assad»; tale dramma geopolitico è accresciuto dal fatto che il giacimento “South Pars” si trova nel Golfo Persico proprio al confine tra l’Iran sciita e il Qatar sunnita — per questioni di pesi geopolitici, fatalmente il controllo finirebbe in gran parte agli ayatollah sciiti della grande Persia.
L’ostracismo del Qatar è poi alimentato dalla scoperta di una società di prospezione geologica siriana, sempre nel famigerato (per la zona islamica mediterranea) anno 2011 delle illusorie “primavere arabe”, di un grande giacimento di gas proprio in Siria, vicino al confine libanese, non lontano dal porto sul Mediterraneo di Tartus affittato alla Russia, e dell’individuazione di un altro importante giacimento di gas nei pressi di Homs (Iran). Il fatto che l’esportazione di gas, siriano e/o iraniano, verso l’Unione Europea possa avvenire attraverso il porto di Tartus, che ha legami con la Russia, non può che scontentare il Qatar e i suoi protettori occidentali (il territorio dell’emirato ospita l’importante nodo del “Central Command” del Pentagono, il quartier generale mediorientale dell’US Air Force e l’83th Air Expeditionary Group dell’aviazione inglese). Perché oltretutto c’è un piano — approvato dal governo degli Stati Uniti — per creare un nuovo gasdotto dal Qatar all’Europa passando per Turchia e Israele. La capacità di una simile pipeline è sconosciuta ai non addetti ai lavori, ma considerando la vastità delle risorse del Golfo Persico e della regione del Mediterraneo orientale, è facile ipotizzare che essa possa superare sia quella della “pipeline sciita” che quella del “Nabucco”, sfidando direttamente il “South Stream” della Russia.

In definitiva: l’esportazione di gas siriano e iraniano verso l’UE attraverso un porto in mano ai Russi e in concorrenza con gli alleati USA è tutto il nocciolo del problema in Siria, non l’uso di armi chimiche del regime di Assad sulla popolazione siriana.


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