Voglio essere ottimista

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Urlava Grillo dal palco: «È finita». E può apparire un paradosso che sia toccato a un ex comico annunciarlo, nel linguaggio della commedia dell’arte. Le elezioni politiche italiane del febbraio 2013 ci dicono che è finita una forma della politica. Anzi, che è finita “la politica del Novecento”. Quella in cui una società sostanzialmente aggregata in gruppi e classi si strutturava e riconosceva stabilmente nella forma del partito politico e attraverso questo provava a esprimersi e a contare dentro le istituzioni. Ci dicono anche che il suo tentativo di prolungarsi, e sopravvivere a se stessa nell’ultimo periodo, era diventato insopportabile: un misto di finzione, supponenza e rapacità. Tanto più odiosi, quanto più accompagnati al fallimento sostanziale e trasversale di un’intera classe politica nella gestione di quella cosa pubblica della cui proprietà pretendeva di mantenere il monopolio.

BEPPE GRILLO

Non si spiega altrimenti l’intensità torrentizia con cui la forza sradicante del cambiamento si è espressa nelle urne: come di una molla compressa da tempo. O un magma incandescente accumulato sotto un tappo di pietra e d’improvviso tracimato. Non si era mai visto un partito salire, dal nulla, fino a occupare il podio della maggioranza relativa. Lo si dice un po’ col tono con cui si annuncia un primato da Guinness, senza tuttavia interrogarsi su cosa ci sia sotto questo record. In quella moltitudine di portatori di scheda che silenziosamente, in due giorni, hanno smontato un sistema politico che sembrava di pietra, e che evidentemente non aspettavano altro che trovare un canale di sfogo, per esprimere la propria voglia di farla finita con l’esistente.
Eppure i numeri parlano chiaro. Negli ultimi cinque anni altri 2,5 milioni di “aventi diritto al voto” (quasi tre volte la popolazione di Torino, sei volte quella di Firenze) si sono aggiunti all’esercito degli astenuti che ha superato ampiamente i 13 milioni (più di un quarto dell’elettorato). Ci dice anche che se sommiamo la massa degli astenuti e quella dei voti al Movimento 5 Stelle superiamo di qualche punto la soglia del 50%: come a dire che almeno la metà del corpo elettorale italiano sta fuori dallo spazio politico “ufficiale”. Nega, silenziosamente o in modo partecipato, la propria adesione a “quella” politica.
Di più, se non ci accontentiamo delle percentuali misurate sui soli votanti, o sui voti validi, ma calcoliamo in valori assoluti il peso dei due schieramenti “ufficiali” – Centrosinistra e Centrodestra – all’interno dell’intero corpo elettorale, scopriamo che insieme non raccolgono, oggi, più di 19.900.000 voti su quasi 47 milioni di “aventi diritto”: il Bipolarismo all’italiana vale oggi poco più del 40%.
Erano, fino a ieri, i playmakers assoluti: i due pilastri di un sistema politico che come un tormentone continuava a definirsi idealmente appunto “bipolare”, egemonicamente maggioritario, in una autonarrazione stucchevole ma pervasiva, tanto che i riflettori dei media erano accesi solo su di essi. Si sono rivelati congiuntamente minoritari. Confinati in un settore parziale dello spazio politico, e tendenzialmente in via di regressione. Contenitori bucati il cui liquido in parte si disperde nell’ambiente.

I NUMERI. Età media 47,7 anni. Donne 31%. Il nuovo Parlamento italiano è quello più giovane (-7,3 anni rispetto all’ultimo) e “più rosa” (+50% rispetto all’ultimo) della storia repubblicana. In un Paese come l’Italia che ha la classe dirigente più vecchia in Europa (età media di 59 anni, con punte di 67 anni per i banchieri, di 63 per i professori universitari e di 61 per i dirigenti delle partecipate statali), questo è un’autentico colpo di Stato.

BOTTE AI PARTITI. Il PdL ha subìto il travaso di oltre 6 milioni di voti, perdendo quasi la metà degli elettori rispetto al 2008. La Lega Nord è crollata: da 3 milioni del 2008 è passata a meno di metà, 1,4 milioni. Il PD aveva 12,5 milioni di voti nel 2008, 8,6 milioni oggi: ha perso il 31,2% dei suffragi, cioè un terzo degli elettori. Il crollo più vistoso, in proporzione, riguarda Di Pietro e Casini. IdV aveva alla Camera 2,2 milioni nel 2008, oggi Di Pietro con Ingroia ha racimolato in tutto meno di 800mila voti (-63%); UDC aveva 2 milioni alla Camera, è scesa a 608mila (-70%). Sparisce quasi nel nulla, addirittura, uno dei personaggi chiave degli ultimi vent’anni: Gianfranco Fini non arriva a 160mila voti, e viene pensionato (6.200 euro al mese, 260mila euro di liquidazione: non si può lamentare…).
Dei partiti “tradizionali” ha guadagnato solo SEL, raddoppiando da 500mila (2008) a 1 milione e rotti alla Camera (912mila al Senato).
Gli studiosi dei “flussi” stimano che almeno 16 milioni di elettori abbiano abbandonato i partiti votati cinque anni fa per dirigersi verso altri lidi.

NEMESI MONTI. Il Professore con la sua lista non ha superato né alla Camera né al Senato la soglia dei 2,8 milioni di voti, mentre se ne aspettava almeno il doppio. Il “burattino telecomandato” dal mondo della finanza, l’uomo che obbedisce ai desiderata delle banche, ai grandi industriali, al Vaticano, all’Euro e all’Europa neoliberista, paga salato il conto presentatogli indietro da quegli stessi italiani cui lui ha fatto pagare un conto salato nell’ultimo anno e mezzo. “Forte coi deboli, debole coi forti”: anche se ha avuto poco tempo per lavorare, evidentemente non è questa la strada per risollevare un Paese grande come il nostro (ancora aspettiamo la sua famosa “fase due”, il Cresci-Italia, e la spending review…).

RECORD ASTENUTI. Affluenza 75%, 1 italiano su 4 se n’è rimasto a casa: mai dei dati così bassi nella storia della Repubblica, non era mai successo che alle urne si recasse meno dell’80% della popolazione votante (e tra Sicilia, Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna l’astensionismo è stato superiore al 30%). È vero che non si era mai votato in inverno, ma il maltempo che ha caratterizzato i due giorni del voto non c’entra: è colpa della crescente disaffezione nei confronti delle istituzioni politiche, già in ottobre testimoniata dai dati impressionanti del “Barometro” dell’istituto Demopolis (senso di fiducia degli elettori nei confronti dei partiti crollato al dato record del 3%!), e dalle cifre altissime anche per schede bianche o nulle: 1,25 milioni alla Camera (schede bianche l’1,12% dei votanti, quelle nulle il 2,47%), 1,13 milioni al Senato (bianche 1,16% dei votanti, nulle 2,40%).

INNESCO. L’incapacità delle forze politiche di realizzare alcuni “obbiettivi minimi” (tra quelli più attesi dalla popolazione, soprattutto il taglio del numero dei parlamentari e dei costi della politica, ma anche riforme come quella elettorale), che pure avevano promesso di effettuare, unita alla pesantissima crisi economica partita nel 2008 e aggravatasi di anno in anno, hanno fatto traboccare il vaso. E ha avuto un ruolo importante anche il succedersi degli scandali e l’evidenziarsi di vere e proprie malversazioni operate da questo o quel personaggio politico. Di qui la decisione di un italiano su quattro di scegliere, improvvisamente e inaspettatamente, la strada più ovvia: quella della protesta.

Marta Grande, 25 anni, eletta alla Camera con M5S

MORALE DELLA FAVOLA. Dietro questo capolavoro non c’è un “soggetto”. Né tantomeno un apparato (non per nulla Grillo definisce il suo un «non-partito»). Non c’è una “forza politica”, come novecentescamente avremmo detto. C’è la forza delle cose. Un processo selvaggio che ha usato la breccia aperta da Grillo con la sua espressività radicale per forare l’involucro in cui era stato compresso. E sgombrare il campo. Per questo non si possono neppure immaginare le vecchie pratiche (e i vecchi trucchi). E fa un po’ ridere l’idea stessa che si possa ragionare in termini di alleanze, “assi” (Grillo-Bersani?!), “accordi di programma” (?!) o spartizione delle cariche istituzionali, come se Grillo e Casaleggio fossero come Bersani e Letta, o Alfano e Cicchitto. Non lo sono – basta guardare i loro capelli! – non solo perché vengono da un’altra galassia (hanno vinto per quello), ma perché stanno dentro (o davanti, o sopra) a un’altra cosa: il “non-partito”. Che non sanno neppure loro che cosa sia realmente. Che gli è cresciuto sotto — o dietro, o davanti — d’improvviso. Che solo vagamente “guidano”. E che non sappiamo neppure se e fino a quando resterà insieme, né come e in quale direzione scaricherà la sua spaventosa energia.
Ma non volevamo un “cambiamento radicale”? Nello smarrimento attuale, mediatico più che effettivo, sulla penisola «spaccata in tre», con gli speculatori che già hanno cominciato ad azzannarci, forse non ci rendiamo conto che questo agognato cambiamento la gloriosa terra di Italo ha cominciato ad averlo davvero. (Perfino in Vaticano c’è l’abbozzo di un capovolgimento storico!)

E se c’è da scegliere un simbolo di questo germoglio di rivoluzione, quel simbolo non è una bella “X” sulle facce che finalmente non vedremo: Fini, Bocchino, Crosetto, Storace, Micciché, Lombardo, e poi gli stessi Pannella, Bonino, Di Pietro, Diliberto, Ferrero, Marini — come sentirne la mancanza, francamente? —. E nemmeno i capelli di Grillo e Casaleggio. È piuttosto il volto pulito, col sorrisetto a metà fra il languido e il monello, di Marta Grande, 25enne di Civitavecchia, laureanda in ‘Relazioni Internazionali’ all’Università di Roma Tre (nel suo curriculum anche bachelor of Arts in Alabama, esperienze di studio in Cina, volontariato con Greenpeace, lavori di interprete). È il volto di quella generazione con un minimo di preparazione — a non avere un futuro! —, per niente choosy, che ha detto stop all’assenza di prospettive e al declino del Belpaese.

Voglio perciò essere ottimista.

Non credo che il risultato di queste elezioni sia negativo: è una grossa occasione, piuttosto. Malgrado i dubbi che accompagnano il Movimento 5 Stelle e la sua strutturazione come un “franchising”, con tanto di proprietario del marchio (Grillo).
M5S può far sbracare un sistema in putrefazione portando aria fresca ed etica. D’altro canto, non è che con il bipolarismo D’Alema/Berlusconi (e con supermanager come Riva, Orsi, Mussari, Scaroni, Colaninno, Tronchetti, Tanzi, Gardini, De Benedetti…) questa repubblica abbia scalato le classifiche della prosperità!
Quindi, keep calm & stem a vedèr.


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