«Si può sapere quanti libri hai scritto?». No che non si può. Perché non lo so neanche io.
Sembrerebbero otto, da qualunque parte io mi metta a contarli. Sembrerebbero.
Dal punto di vista squisitamente tipografico, son 6 titoli di cui due ristampati (uno con “riduzione”): totale 8.
Dal punto di vista squisitamente originale, di opere “finite” prima dell’ultima uscita su carta (“Cerco il Figlio”) ce ne sono sei; ma c’è un settimo (un giallo) che ho interrotto a metà proprio per stendere “Cerco il Figlio”, che quindi sul mio mac è numerato come “8” pur essendo il “7” di quelli realmente completati. (A dirla tutta, però, anche da questo punto di vista “Cerco il Figlio” sembrerebbe l’ottavo: perché c’è un settimo titolo “compiuto” che esiste in due sole copie, opera della quale solo io e un’altra persona conosciamo l’esistenza. Come che sia, fa sempre otto.)
Quando però vado ad analizzare gli Isbn o le varie mie auto-distribuzioni suddividendole per canale, il conteggio già traballante e forzato crolla del tutto. Su carta ho sei titoli originali; in formato eBook ne ho 7 sul mio sito (dei quali uno suddiviso a sua volta in 4 volumi) e 5 su Amazon; la somma di questi 7+5 libri digitali però non fa 12, perché alcuni coincidono, altri sono in esclusiva su Amazon (ma anche qui ce n’è uno che esiste anche su carta), altri ancora in esclusiva sul mio sito. E c’è poi il fatto che alcuni eBook sono estrapolazioni di altri miei libri…
Insomma, il caos.
Per come sto messo a titoli, non sarei catalogabile in una biblioteca.
C’è un’eco di questo mio karmakaos nella musica. Ossia, forse è per questo che una delle poche canzoni che conosco a memoria comincia con «Can you tell me where my country lies?», e sarà per questo che la mia canzone preferita si intitola “Can’t find my way home”, ed è anche per questo che “If I could only remember my name” è il titolo dell’album che mi emoziona di più.
Specchio fedele, il karmakaos, della mia vita. Dei motivi per cui non mi sento più “a casa” in nessun posto. Da 0 a 10 anni suddiviso fra casa dei nonni in un quartiere periferico a sud e al weekend a centro-nord coi miei genitori, poi fino ai 22 in un altro quartiere a nord, quindi tre anni a Milano (in due case), poi di nuovo nella mia città dai miei, fino alla sfortunata parentesi matrimoniale di 5 anni in un quartiere a sud, quindi due anni “accampato” in ufficio, poi 6 anni di convivenza in un’altra casa a nord-est, un altro anno accampato in ufficio, dal 2008 in un’altro posto un po’ più a nord…
Cerco un centro di gravità permanente.
Ma mi sa che l’unica patria di me stesso è quella confinata fra le quattro mura della mia epidermide. (E mi sta pure bene.)
Can you tell me where my country lies? Can’t find my way home. If I could only remember my name…
«Si può sapere quanti libri hai scritto?». No che non si può.
E non è nemmeno importante, in fin dei conti.
Edit 01 settembre 2014:
Su carta continuo ad avere 6 titoli originali; ora però in formato eBook ne ho 11 sul mio sito (dei quali uno suddiviso a sua volta in 4 volumi) e 9 su Amazon; ma la somma di questi 11+9 libri digitali — as usual — non fa 20…
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Buon giorno sig. Manglaviti
ho letto e in parte riletto il suo bestseller “Cerco il figlio”e mi sono deciso a scriverle, intanto per complimentarmi con lei per la grandiosa opera di ricerca della verità: un libro che dovrebbero leggere tutti coloro (la stragrande maggioranza) che ancora non sanno distinguere una cosa vera da una CREDUTA vera. Ho volutamente evidenziato la parola”credere”perchè in essa è contenuta la sottile illusione che caratterizza l’ esistenza umana, dalla religione alla scienza alla politica e tutto il resto. Impensabile di far leggere,ma soprattutto accettare le conclusioni di un libro così complesso e impegnativo alla massa della persone: togliere loro quelle che ritengono essere certezze da cui trarre conforto, tranquillità, speranza e ragione di vita senza dare loro niente in cambio. Del resto anche lei da qualche suo scritto sembra brancolare nel buio alla ricerca di un Dio che appare razionalmente irraggiungibile. Il discorso potrebbe continuare ma mi fermo qui. Ho divagato perchè non è questo il motivo dello scritto. Il motivo riguarda l’ultimissima parte del libro, per la quale ho prospettato una conclusione diversa da quella da lei descritta. Conclusione derivata da una serie di considerazioni che non ho trovato da nessuna parte. Questo non comporta alcun minimo cambiamento all’insieme dell’ opera, ma può avere un suo rilievo se rapportata al dogma fondamentale del cristianesimo. Mi segua…
“Giuseppe e Nicodemo lo portano al sepolcro come previsto, e durante la notte… lo recuperano, lo portano in un luogo sicuro e tentano di rimetterlo in sesto… ma Gesù non ce la fa”. Torniamo indietro di alcune ore e precisamente al momento in cui, dopo aver fratturato le gambe agli altri due condannati, i soldati arrivano da Gesù che sembra già morto. A questo punto c’è il famoso colpo di lancia che secondo la tradizione “trafigge” il costato. L’ espressione trafiggere è fuorviante in quanto fa pensare che la lancia abbia trapassato da parte a parte il corpo di gesù, mentre in realtà penetrò solo di alcuni centimetri in quonto lo scopo non era finire Gesù, per quello era prevista la frattura delle gambe, ma per verificare una seppur minima reazione. E la reazione ci fu in effetti: la fuoriuscita di sangue ed acqua, tipica di un corpo ancora vivo, ma Longino questo non lo può sapere. Il colpo non solo non ha leso parti vitali (cuore, arterie, vene)ma ha addirittura migliorato le condizioni fisiche dal condannato facilitandone la respirazione.
A questo punto gesù viene tolto dalla croce, e a questo punto sorgono le considerazioni sull’ uso dei chiodi. I soldati avrebbero dovuto usare l’accorgimento di lasciare uno spazio di qualche centimetro tra polsi/piedi e testa del chiodo in modo da permettere di infilare una lunga e robusta leva in ferro tipo piede di porco sagomata opportunamente, che doveva far parte dell’ attrezzatura, trovare un valido punto di appoggio ed estrarre i chiodi lunghi dai quindici ai venti centimetri. Operazione questa non delle più pratiche dovendola eseguire, almeno per i piedi, quando ancora il condannato si trovava in posizione eretta sulla croce. Si dirà:piccole questioni di bassa carpenteria. Vero. Ma diversamente non è possibile togliere il corpo dalla croce. Se a tutto questo aggiungiamo che la lavorazione del ferro era laboriosa e costosa risulta poco verosimile l’ uso dei chiodi per giustiziare schiavi e ribelli. Ma c’è un’ altra considerazione questa si, a mio avviso, determinante per escludere l’ uso dei chiodi per le crocifissioni: come detto chiodi lunghi dai quindici ai venti centimetri e con una sezione di almeno uno, grezzi, spigolosi, taglienti, conficcati nei polsi dove il peso stesso del corpo e le convulsioni e contrazioni dello spasimo avrebbero prodotto, proprio nel punto dove passano vene ed arterie, lacerazioni tali da provocare emorragie da portare alla morte per dissanguamento nel giro di qualche ora. Che è l’ esatto contrario dello scopo del supplizio della crocifissione che doveva procurare un’ agonia lenta e dolorosa che poteva durare giorni. Molto più pratiche, sbrigative, economiche e funzionali allo scopo l’ impiego di corde. Gesù viene slegato dalla croce e deposto nel sepolcro, ferito, debilitato, svenuto, narcotizzato ma, per usare un’ espressione da gergo ospedaliero, non in pericolo di vita. Al calare della notte ecco rientrare in azione il duo Arimatea-Nicodemo: devono agire al buio senza l’ aiuto di torce, troppo grande il pericolo di essere scoperti nella notte in cui è proibita qualsiasi attività. All’ interno del sepolcro il buio è totale, prelevano Gesù a tentoni e nella fretta e concitazione del momento abbandonano il lino. Gesù viene portato in un luogo segreto e curato. Va de sè che da questo momento Gesù non dovrà farsi vedere in giro col rischio di essere riconosciuto da qualcuno del sinedrio e soprattutto dai romani pena grossi guai per tutti. Da qui quell’ incertezza descritta nei vangeli: ti vedo non ti vedo, è lui o non è lui? Ma certo che è lui vivo e vegeto, solo non è risorto non essendo mai morto prima. Poche settimane di convalescenza e Gesù è pronto a partire e lasciare per sempre la Palestina. Da qui il sorgere delle leggende di chi lo vuole in India a predicare la nuova religione, di chi lo vuole con la Maddalena a fondare la dinastia merovingia, e di chi lo vuole… asceso al cielo.
La fede consente di passare per vera qualsiasi assurdità, per esempio che un uomo morto possa resuscitare, ma anch’ essa ha bisogno di una base di verità, e cioè che quest’ uomo sia davver morto. Se no lo si fa morire con un nuovo atto di fede, e così via.
Salve sig. Lorenzo, e intanto grazie per le belle parole!
Riguardo ai chiodi e al ferro, e alla “convenienza” delle corde, l’intero ragionamento è contraddetto dall’archeologia. Come può leggere alle pagg. 629/630 di ‘Cerco il Figlio’, nel 1968 avvenne un’eccezionale scoperta: tornarono alla luce dopo 19 secoli le ossa di un uomo crocifisso, con un chiodo in ferro ancora infisso in un tallone, con tanto di supporto di legno per tenerlo più stretto. Il ritrovamento delle sue ossa resta a tutt’oggi l’unica testimonianza concreta della stessa crocifissione con cui morì il protagonista dei Vangeli. L’ossuario di pietà con lo scheletro di “Yohanan” (è il nome dell’iscrizione sull’ossuario) fu ritrovato in una grotta per sepolture a nord di Gerusalemme, nel quartiere Givat Ha Mivtar.
Più in generale, sebbene in effetti la crocifissione per come è raccontata sugli unici testi attendibili (i quattro Vangeli canonici) lasci dei margini oscuri, ritengo sia del tutto sterile lanciarci in supposizioni su come possa essere avvenuta nei dettagli e/o se Yeshua possa essere scampato o meno. Può costituire solo uno stuzzicante gioco intellettuale, e niente più.
Se le teorie sul “complotto di pasqua” (con l’aiuto dei “complici” Giuseppe di Arimatea e Nicodemo) si sprecano, ma lasciano il tempo che trovano, sulla “stirpe di Gesù” e su “Gesù in India” possiamo stendere direttamente il classico velo: in entrambi i casi le bufale sono state abbondantemente smascherate.
Non è mai esistito un matrimonio — con figli — con Maria Maddalena (cfr. il mio testo “Maria Maddalena, la sposa fantasma”) né una stirpe merovingia difesa dal fantomatico Priorato di Sion (cfr. il sito prioratodision.net).
E quanto all’India, nel 1887 un corrispondente di guerra russo, Nicolas Notovitch, affermò che, mentre si trovava in un monastero buddhista in India, sarebbe venuto a sapere di un documento intitolato “Vita di Sant’Issa, il migliore dei Figli degli Uomini”, laddove Issa è il nome arabo di Gesù. Gli scritti di Notovitch provocarono numerose polemiche dalle quali l’autore uscì a pezzi: gli studiosi del tempo non gli risparmiarono critiche e gli stessi monaci negarono di averlo mai incontrato. Dopo aver inizialmente ribattuto alle accuse, Notovitch infine confessò di aver falsificato le prove.