Sucate, il vento del cambiamento

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Amministrative italiane “di mid-term”. In Italia non è avvenuta alcuna rivoluzione, i ragazzi non si sono radunati nelle piazze per sfidare il potere politico e quello militare, e i social media non hanno svolto alcun ruolo eversivo. Nemmeno Berlusconi, nel plenum con i suoi sodali in cui analizza i risultati del voto, li cita come nemici del governo e del popolo, rivolgendo piuttosto l’accusa di “aver manipolato la verità” soltanto a televisione e giornali — fatta eccezione per le sue reti Mediaset —. Per Berlusconi i sondaggi sono la realtà mentre i risultati che escono dalle urne sono proiezioni virtuali: comunque l’esistenza di Facebook, Twitter e Google non sembra sfiorare nessuno dei due versanti della sua malsana visione. Il Presidente del Consiglio confonde del resto Google con Gogol, immortale protagonista della letteratura russa, e la causa di un simile errore forse è ancora la ragione per cui Internet è rimasta espunta dalla sua analisi delle elezioni amministrative di aprile/maggio 2011, una autentica Caporetto per il centrodestra al governo.
L’equivoco del premier è figlio di una apparente dicotomia nella politica italiana, che è anche diffusa convizione presso le principali (e superficiali) testate giornalistiche: da una parte la destra privilegerebbe la televisione come strumento di comunicazione, mentre la sinistra colonizzerebbe Internet come alternativa alla saturazione degli spazi sul piccolo schermo. Ma con questo schema si rischia di non cogliere la vera essenza di quanto è successo in Italia nella… Primavera della Penisola (nello stesso anno della “primavera araba”, ma sorprendentemente un po’ in ritardo rispetto a essa).

Le situazioni nei comuni e nelle province sono state variegate, e non è possibile generalizzare; ma qualcosa di completamente nuovo è accaduto dappertutto. Nella stessa Calabria, unica regione che non sembra esser stata toccata dal “wind of change” (è rimasta quasi tutta filogovernativa), la novità di un “grassroot internettiano” si è toccata con mano: a Reggio Calabria un candidato sindaco “venuto dal basso” e contrastato dai partiti, è riuscito a raccogliere quasi una preferenza su tre con il solo ausilio di un furgoncino di prodiana memoria, con il quale ha raggiunto pressoché ogni angolo del territorio di riferimento per parlare di persona con l’elettorato, e soprattutto di un movimento (“Energia Pulita”) che si è mosso in modo partecipato e straordinariamente efficace sui social media, privo di veri centri di gravità. Anche a Napoli un candidato arrivato “da fuori” (nel senso delle logiche di potere partitico) è riuscito a prevalere con un massiccio apporto partecipativo da parte del tam-tam dei social network. Ma è a Milano che il fenomeno ha raggiunto le dimensioni di un big-bang. Ed è nella dettagliata analisi di quanto è successo a Milano che si può cogliere in pieno la portata del “wind of change” soffiato attraverso Internet.

L’inizio non lascia presagire nulla. A Milano il sito web della campagna di Letizia Moratti secondo Google Analytics mostra durante il mese di aprile una capacità di catturare traffico e attenzione molto superiore a quello del suo avversario. Pisapia sembra essere ignorato fino quasi alla fine di aprile; il suo sito riceve 42mila visite da parte di 27mila utenti unici ad aprile, con 100mila pagine viste. Al contrario, il canale digitale della Moratti ha intercettato 100mila utenti unici con 140mila visite e 270mila pagine viste, con una certa continuità durante tutto il mese. Il 32% dei lettori del blog di centrodestra vanta un’età inferiore ai 34 anni, mentre solo il 23% dei visitatori del blog di centrosinistra appartiene a questa fascia di età. Lo sbarco del centrodestra su Internet sembra quindi essere stato tempestivo, e aver raggiunto con maggiore efficacia gli elettori più giovani. (È un fuoco fatuo: le fasce giovani covano in realtà un ribaltamento repentino delle cifre…)
Se la forma di comunicazione internettiana obbedisse a una logica di broadcast, uno-a-molti, come accade in tv, ci si sarebbe dovuti aspettare quindi una copertura adeguata e vincente della Moratti rispetto al suo principale concorrente. Ma la rivoluzione della Rete non consiste nell’apertura di un nuovo canale accanto a quelli dell’etere, del digitale terrestre, del cavo e del satellite; la novità del Web è aver introdotto una nuova configurazione della comunicazione, quella molti-a-molti, che trova nei social media la sua espressione più compiuta.
Gli utenti di YouTube, come quelli di Facebook e di Twitter, sono allo stesso tempo gli autori di quello che viene proposto al pubblico e gli spettatori di quello che viene proposto dagli altri loro pari. Gli utenti di Internet non cercano notizie alla fonte ufficiale dell’informazione; si fidano dei loro pari. Non è per nulla una novità, ma a Milano solo i collaboratori di Pisapia se ne accorgono.
L’interesse per i candidati principali delle elezioni milanesi non sembra essere cominciato davvero prima dell’inizio di maggio. Secondo Google, il momento di incremento dell’interesse per il candidato di centrosinistra è cominciato tra il 7 e il 10 maggio, mentre quello per Letizia Moratti tra l’8 e il 10 maggio. Se si interroga il motore di YouTube con la stringa “Pisapia”, la piattaforma trova 4.770 risultati; 3.300 sono stati postati dai primi giorni di maggio. Per “Letizia Moratti” i post nello stesso periodo sono 881. È facile notare — anche solo scorrendo l’elenco dei risultati — che i video più cliccati sono stati postati per entrambe le query dai fan di Pisapia. Il file meno frequentato supera le 40mila visualizzazioni, ma 7 dei post più popolari hanno superato le 100mila visualizzazioni. Sono numeri che bruciano qualunque velleità di comunicazione broadcasting attraverso il sito personale dei candidati.

Nel frattempo irrompe un fenomeno del tutto nuovo in Italia e assolutamente imprevisto: l’uso intensivo dell’Hashtag, una funzione tipica di Twitter. Si comincia con “#morattiquotes”. L’accusa rivolta da Letizia Moratti al concorrente durante il faccia a faccia televisivo su Sky poco prima del primo turno si trasforma in un boomerang imprevedibile sui social media. Ogni tweet contrassegnato da “#morattiquotes” si presenta come la caricatura della strategia diffamatoria tentata dal sindaco uscente durante l’intervista su Sky: gli utenti creano un’amplificazione grottesca della malvagità attribuita a Pisapia dall’avversaria, lanciando e replicando sulla piattaforma migliaia di rivelazioni allarmanti sul candidato. «Pisapia ha ucciso Laura Palmer», «Pisapia ha rapito i due Leocorni», «Pisapia è il vero padre di Luke Skywalker», «Pisapia coltiva oppio in Afghanistan», Pisapia diventa il deus-ex-machina di tutto il Male esistente sul pianeta e perfino nell’universo: nel listato si trova di tutto, ma è l’effetto complessivo di accumulo a coprire di ridicolo l’accusa originaria e l’intenzione che l’ha partorita.
Nell’intervallo tra il primo e il secondo turno i fans abbandonano il territorio neutrale di Twitter per invadere le “presenze social” degli avversari. Il 18 maggio Red Ronnie, consulente musicale della Moratti, comunica sulla sua pagina di Facebook che il concerto previsto per il 21 maggio è stato cancellato da Pisapia. La situazione è davvero improbabile, visto che all’epoca il sindaco in carica è ancora la Moratti, il vincitore del ballottaggio si insedierà solo il 1° di giugno, e per questioni di logica le sue decisioni non possono essere retroattive. La pagina di Red Ronnie su Facebook passa in breve tempo da 7 a 18 mila fans; ma i nuovi arrivati rovesciano sulla sua bacheca centinaia di contestazioni ironiche. Anche in questo caso si scatena una ventata di caricature in cui fioccano altre denunce grottesche sui misfatti che Pisapia avrebbe compiuto in giro per il mondo, e i “#redronniequotes” vanno ad aggiungersi ai “#morattiquotes”.

Il risultato del primo turno e il dominio della figura del candidato di centrosinistra sui social media convincono il team della Moratti dell’opportunità di intervenire su questo fronte, lasciato sostanzialmente scoperto. Nasce il sito MiRispondi.it e la possibilità di ricevere risposte sul programma tramite Twitter a tutte le domande contrassegnate da “#mirispondi”. Il panico con cui viene allestito e governato questo presidio emerge in tutta evidenza il 23 maggio, quando l’utente “orghl lucah” invia la domanda: «il quartiere Sucate dice no alla moschea abusiva in via Giandomenico Puppa! Sindaco rispondi #mirispondi». La stranezza semantica che somma nello stesso post “sucate” e “puppa” non viene colta dagli operatori arruolati dal centrodestra, e tanto meno l’assenza di questa curiosa toponomastica nel territorio del comune di Milano. Quindi l’utente Letizia Moratti si premura di rispondere: «Nessuna tolleranza per le moschee abusive. I luoghi di culto si potranno realizzare secondo le regole previste dal nuovo Pgt».
Il quartiere mitologico di Sucate e la sua espressione su Twitter “#sucate” diventano il boomerang che scatena la parodia “dal basso” contro la campagna elettorale televisiva condotta da Lega e PdL, fondata sulla minaccia di vedere trasformata Milano in una “zingaropoli” piena di moschee in caso di vittoria di Pisapia. L’ingresso a Sucate tramite lo svincolo di via Giandomenico Puppa, con tanto di segnalazione della moschea sul cartello autostradale, viene rappresentato anche nel video virale “Il Favoloso Mondo di Pisapie”, realizzato dal gruppo “il Terzo Segreto di Satira”, che su YouTube raggiunge in una settimana oltre mezzo milione di visualizzazioni (oggi appare chiuso «per motivi di copyright» ma sopravvive su Vimeo, ndr).
Il social tsunami, quasi del tutto spontaneo e improntato alla farsa, raggiunge l’acme. Migliaia di persone scatenate per giorni a fare ironia, con il meccanismo ben consolidato dei facts. Il fenomeno esplose in America qualche anno fa a proposito di Chuck Norris. Si prende un attributo — in quel caso la forza e la virilità di Chuck Norris —, e lo si porta a paradossali quanto comiche conseguenze. Ora si fa la stessa cosa con la “malvagità” di Pisapia, esagerata e deformata per ritorcersi contro l’astiosa pubblicità del centrodestra.
La cifra della “controrivoluzione” mediatica della Moratti dopo il primo turno è quanto di più inopportuno: calcisticamente, come tirare un rigore nella propria porta vuota. Da rassicuranti manifesti con il simbolo di Milano (graficamente pregevoli) o manifesti con la Moratti che abbraccia anziani e bambini, si passa alla schiuma alla bocca di cartelloni in stile Hamas. La creatrice dell’ecopass, Letizia Moratti, viene accreditata della sua abolizione, mentre Pisapia, che fino a ora ha governato il balcone di casa sua (se è così fortunato da averne uno), è accusato di averlo aumentato fino a dieci euro. Manca solo Magritte che dica che quella non è una pipa. Per non parlare delle dichiarazioni ufficiali in tv e sui giornali… Umberto Bossi comincia dando a freddo del «matto» a Pisapia e accusandolo di volere la ormai mitica «zingaropoli islamico-cinese»; Berlusconi accusa Pisapia di «prendere un caffè con i centri sociali» anziché con lo zucchero come tutti; Giovanardi rincara la dose: «Pisapia vuole rendere Milano una mecca per gay e integralisti islamici», ovvero due tipologie umane che si legano molto bene tra loro… sui patiboli.
Come reagire a questo primordiale e scomposto richiamo a paure ancestrali sventolato da chi soffoca per l’angoscia di perdere tutto, se non con una sonora pernacchia di popolo? Cosa esorcizza meglio il terrore di una risata liberatoria? E così succede spontaneamente in Rete: ognuno porta il suo pezzo, ognuno condivide un fotomontaggio, ognuno si inventa uno status spiritoso. Chi mette la foto del profilo vuota con la scritta “Pisapia mi ha rubato l’immagine del profilo”, chi inventa un cocktail (il Pisapia, ovviamente), chi si cimenta su Photoshop a creare i più improbabili fotomontaggi della faccia del povero Pisapia su quella dei peggiori bastardi della storia umana. Non si fa in tempo a gabbare lo staff della Moratti con l’ormai leggendaria moschea abusiva di via Giandomenico Puppa nel quartiere di Sucate, di cui esce pure la guida (!), che ecco che qualcuno ne fa la photoshoppata — “viralmente” condivisa grazie ai tag di Facebook —. E così via, grazie al potere della memetica.

L’ultima spallata alla comunicazione del centrodestra arriva direttamente da Berlusconi, grazie al siparietto con Barack Obama al G8 di Deauville in cui, come un bambino che si lamenta di un sopruso, il premier va a disturbare il sorpreso presidente USA per “denunciare” la “dittatura delle toghe rosse”. Dopo lo spettro di Gogol, per la Rete comincia ad aggirarsi anche quello del “#dilloaobama”, che per l’incolpevole Letizia Moratti si va ad aggiungere al fardello già frustrante dei #morattiquotes, #redronniequotes e #sucate. Il 27 maggio 2011 “#dilloaobama” diventa il trend di Twitter più intenso in Italia; i messaggi in inglese «I’m Italian but Mr. Berlusconi is not speaking in my name» sono una valanga, e la scuola milanese diffonde il metodo della caricatura per ipertrofia di identificazione nel comportamento del Presidente del Consiglio: a Obama si denuncia che in Italia «fa troppo caldo perché abbiamo un meteo di sinistra», che «davanti all’università ci sono pochi parcheggi», che «i vicini di casa fanno troppo rumore», etc., con il consueto effetto comico di accumulo.
Quando l’organizzazione pro-Moratti della festa in Piazza del Duomo a Milano urta l’iceberg della defezione del cantante Gigi D’Alessio, il Titanic della comunicazione sui social media sta già affondando da tempo. PdL e Lega tentano di centralizzare qualunque forma di espressione; dall’altra parte, il comitato di Pisapia assicura la libertà di iniziativa alla comunicazione “grassroot” fin dall’inizio. Quando la Moratti decide di tendere l’orecchio verso il dialogo spontaneo con i cittadini, la forma è quella del “MiRispondi”: il popolo di Internet al massimo può sottoporre delle domande, mentre il soggetto dell’iniziativa continua a coincidere con la sola figura del sindaco, da cui emana una “verità” con direzione uno-a-molti. Nella migliore delle ipotesi si tratta di una replica della coda agli sportelli della burocrazia comunale; nella peggiore, propone un’immagine del cittadino come quella del suddito che avanza la supplica al signore, nell’ultimo momento utile in cui questi si degnerà di ascoltarlo.
È la logica broadcast: la logica televisiva berlusconiana. E nella Primavera della Penisola, anno 2011, per la prima volta appare chiaro che questa logica è ormai divenuta perdente. A non funzionare più sono le assurde prescrizioni di Berlusconi costruite in oltre un decennio di lavaggio del cervello televisivo: dalla società civile non può arrivare alcun progetto perché essa non esiste come soggetto; la realtà è fatta di proiezioni statistiche su una massa anonima che deve essere contata, classificata, organizzata in palinsesti e in programmi; si può ammettere al massimo che ponga domande su quale tipo di ordinamento le sarà cucito addosso per segmentarla e gestirla…
La strategia dei collaboratori di Pisapia è invece più accorta nei confronti della turbolenza dei social media: l’invito a creare parodie, ironie, sarcasmi, è molto più divertente — per giovani e non più giovani — rispetto alla formulazione di (rispettose) domande in attesa della grazia di una risposta. Dai video su YouTube, ai vari quotes su Twitter, il pubblico può vivere la sensazione di partecipare alla costruzione della vittoria del candidato. Il coinvolgimento è diretto, senza nessuna griglia o filtro di ammissibilità. Lo staff di centrosinistra rinuncia ad accentrare il controllo della campagna, lasciando le istanze grassroot libere di esprimersi nel linguaggio più consono alla sensibilità di ciascun gruppo. Un primo risultato è quello di opporre una resistenza efficace alla potenza diffamatoria messa in campo via etere e tramite le affissioni stradali della parte avversa. In un secondo momento la resistenza si trasforma in contrattacco, con la colonizzazione dei canali e dei dispositivi del centrodestra (si pensi all’assalto alla “bacheca” di Red Ronnie e al post che scatena la viralizzazione di “Sucate”). In un terzo momento conquista l’accesso ai power media, le testate giornalistiche e i telegiornali nazionali, che diffondono la notizia delle parodie anti-Moratti e ne incrementano la penetrazione. La comicità ha sempre un punto di vantaggio sugli insulti e sulle urla, sia nell’attenzione immediata del pubblico, sia nella memoria.
L’occasione di sentirsi protagonisti di un momento storico attrae la gente anche con la sfida a produrre il sarcasmo migliore, la freddura che possa essere citata sul palco di Piazza del Duomo nelle feste in favore di Pisapia, o essere pubblicata sulle magliette arancioni per il trionfo finale. Il coinvolgimento della Rete trova esaltante dimostrazione nella festa della sera del 30 maggio: a memoria d’uomo, a Milano un entusiasmo e una partecipazione simili sono riservati agli scudetti di Milan e Inter, non agli eventi politici. Il “malvagio” Pisapia ha vinto: è il primo candidato “sparato dal basso verso l’alto” a furor di popolo internettiano gaudente. Lo stesso avviene a Napoli con De Magistris, e un po’ dappertutto. Il Web batte gli altri mezzi di comunicazione di massa, e addirittura si sostituisce ai partiti di “opposizione”.

Pur minimizzata dai media classici (turbati dal ruolo crescente di Internet), dunque una rivoluzione s’è innescata davvero: uno scardinamento di tutte le dinamiche elettorali fin qui conosciute.

Se c’è un limite in quanto accaduto in Italia con la Rete nell’aprile/maggio 2011, è semmai da individuarsi nel ruolo di demolizione che le persone si sono assunte: dalla “costruzione”, nella democrazia partecipativa che anche nella penisola comincia a sbocciare, siamo ancora lontani.
Karl Popper sosteneva che in una democrazia il ruolo dei cittadini è quello di punire chi sbaglia, non quello di avanzare progetti. Si tratta di un compito complesso, perché il riconoscimento dell’errore presuppone un’analisi critica sul comportamento dell’amministrazione: che nel caso in questione non sembra compiuta dalle iniziative grassroot sui social media. L’interesse per la campagna elettorale e per i candidati comincia solo a una settimana dal primo turno. Il pubblico di Internet demolisce tutto quello che giudica come menzogna negli eventi tra la seconda settimana di maggio e il 30 di maggio; il resto non è convocato in discussione. Gli utenti dei social media quindi interpretano bene l’etichetta che viene assegnata loro dalle piattaforme software: sono dei “fans”, ma non ancora dei cittadini. Per questo il riferimento ai trionfi di Milan e Inter calza a pennello con gli eventi 2011. Il grottesco e la caricatura sono un modo per rovesciare i valori delle istituzioni, e sono (almeno secondo una nobile tradizione che discende da Hegel) la premessa necessaria per la fondazione di una nuova visione del mondo e di un nuovo sistema di valori. Però sono soltanto premessa.
«A contestare son tutti bravi: ma chi è che propone un’alternativa e un progetto?». Ecco, questo purtroppo ancora manca all’appello. Anche se per adesso possiamo esser soddisfatti ugualmente: è importantissimo che ci siamo incamminati facendo il primo passo — il più tosto —, e che abbiamo lanciato un segnale alla classe dirigente — «occhio, che se solo lo vogliamo, possiamo fare a meno di voi» —. Ci aspettano tempi davvero eccitanti.


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