
La metà delle famiglie italiane, per la prima volta, è online. Quelle dotate di banda larga erano il 34,5% nel 2009, oggi il 43,4%. I nuclei con almeno un minorenne sono quelli “più avanti”: la maggior parte (l’81,8%) ha un pc, una connessione internet (74,7%) e la banda larga (il 63%). All’estremo opposto coloro che si informano solo con la tv: anziani (65 anni e più) che continuano a non avere pc, a non cercare notizie sulla Rete, a subire il flusso d’informazione governato dalle vecchie tecnologie. I media più “lenti”, quelli senza “partecipazione” — tv, giornali —, zavorrano lo slancio verso il digitale, e in un certo senso anche verso un nuovo modo di concepire la vita. Inoltre la banda larga italiana è qualitativamente la peggiore e allo stesso tempo la più cara d’Europa.
Accanto ai numeri confortanti di una crescente penetrazione della Rete, infatti, l’Italia è soltanto al 20mo posto sia per Internet da casa (il tasso di penetrazione tra le famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni è del 59%, rispetto alla media europea del 70%) sia per l’accesso tramite banda larga (la penetrazione è al 49% rispetto alla media europea del 61%). Il 40,8% delle famiglie che non si connettono dichiara di «non esser capace» di usare il web e i suoi contenuti; il 23,2% addirittura si dichiara «non interessato» a internet. È una fetta (consistente) di popolazione che preferisce la tivù: molti sono “analfabeti funzionali” – hanno da tempo smesso di leggere e scrivere, tanto da non essere più in grado di comprendere i testi scritti –, molti altri sono semplicemente afflitti da pigrizia mentale.
Siamo dunque un Paese spaccato pressoché a metà, e molto indietro rispetto al resto d’Europa (e dell’intero Occidente): i Paesi “più progrediti” stanno (correndo) in macchina, noi stiamo (passeggiando) a piedi.
Ma la cosa allarmante è che siamo pure un Paese in cui la spinta propulsiva è affidata pressoché interamente a una nuova tipologia di giovani e giovanissimi. I “ragazzini digitali” stanno incollati al computer o allo “smartphone”, tengono aperti in contemporanea Facebook, Twitter e MSN, si scambiano canzoncine piratate tramite chat e peer-to-peer: sarebbero loro, secondo l’indagine Istat dedicata alle nuove tecnologie, a “mettere in movimento” un Paese per il resto immobile. Sono generazioni “palmari”, con mille possibilità di conoscenza a portata di dito indice e “touch display”. Una nuova classe di teenager senza letture oceaniche, senza poesie, senza capacità analogiche, orientate a un sapere light, passeggero, di utilità immediata, e in compenso con una spinta propulsiva al consumo tale da condizionare le sorti di famiglie non necessariamente ricche. Purtroppo, leggendo fra le righe, si capisce che si tratta di una generazione che conosce ogni segreto dei social network ma che di fronte alla necessità di fare qualcosa di importante o funzionale online, tipo una semplice iscrizione o scaricare un modulo dell’università, va in serie ambasce e deve chiedere aiuto. Come è stato per i telefonini (il cui core business a monte si è concentrato sugli sms), pare che in Italia prendiamo sempre il peggio dalle tecnologie. Un gigantesco traffico dati il cui contenuto e significato è quasi pari a zero (si comunica tanto, ma non si dice nulla).
Questi ragazzi insomma sono dei semplici “utenti”. Passivi quasi quanto gli “analfabeti funzionali” e i pigri mentali. Nulla di importante e creativo arriva con il loro contributo: quelle stesse “innovazioni” che usano (chat, web 2.0, YouTube, il vecchio Napster, l’odierno Facebook) sono state inventate, negli ultimi dieci anni, da “ragazzini” di altri Paesi… Altro dato allarmante: le stesse imprese non sfruttano appieno internet. Gli imprenditori che in Italia usano la Rete sono intimamente convinti che si tratti tutto sommato di uno “sfizio” (le vere potenzialità — sviluppo, nuovo business, informazione, creazione di posti di lavoro, etc — sono ancora in larga parte inesplorate e/o ignorate) o addirittura di un “nemico” (poiché gli impiegati passano troppo tempo a “curare le piantine di FarmVille” o a “cuccare”).
In sintesi e con una battutaccia, lo stato delle cose fotografato dall’Istat e da molti altri istituti di ricerca è attualmente il seguente: metà degli Italiani se ne frega del “villaggio globale”; un quarto, quelli che passano ore su Facebook o MSN, lo fa, prima di tutto, nella speranza di chiavare; l’ultimo quarto per giocare, cazzeggiare, distrarsi (in ufficio ma anche a casa, con le “consolle”).
Dai tempi di Mike Bongiorno e dell’avvento dei “mass-media”, dunque, è cambiato solo lo scenario: mentre negli USA e nei Paesi avanzati il “Quinto potere” allargava le possibilità di una società, da noi si stava tutti attaccati a «Lascia e raddoppia»; oggi, altrove si sperimentano la “democrazia partecipata”, i WikiLeaks, gli assalti di Greenpeace e Sea Shepherd, da noi si coltiva una fattoria digitale o ci si dimena davanti a una Wii-station. (Ma almeno 60 anni fa Mike Bongiorno alfabetizzò le persone e unificò il Paese insegnando a tutti l’Italiano…)
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