Forse andiamo verso la fine del Berlusconismo. Non foss’altro che per “raggiunti limiti di età” (che quelli del buonsenso li abbiamo sorpassati da un pezzo). Escludendo Fini — perché senza un progetto e perché comunque nel Centrodestra, che è una scatola vuota —, c’è un solo schieramento politico in Italia in grado di produrre un’alternativa: la “babele” del Centrosinistra. Ma cosa può uscire di diverso da un calderone che ha già prodotto fiaschi clamorosi come Prodi, D’Alema, Veltroni?
Un candidato che venisse fuori dal Centrosinistra partirebbe col ricreare uno schieramento che va dalle ali più moderate del Partito Democratico fino alla cosiddetta Sinistra Radicale, ammesso che l’UDC di Casini rimanga fuori. In termini non diversi dalla fallimentare ultima proposta del 2006, che non ha dato grandi risultati e che, anzi, ha favorito il ritorno al governo di Berlusconi. Cosa è cambiato nel PD, o nell’IdV di Di Pietro, o in ciò che resta di Bertinotti, per ripercorrere la stessa strada? Cos’ha Bersani di diverso, che i DS e la Margherita, Prodi Fassino e Rutelli, non avevano? Quella maggioranza certo non brillò per innovazione; varò una finanziaria “monstre” regalando miliardi su miliardi alle imprese; rispettò tutti i vincoli europei, certo: ma per esempio aumentò le truppe italiane all’estero (ritirandole dall’Iraq ma inviandone di nuove in Libano e aumentando il contingente in Afghanistan), e addirittura ci siamo trovati di fronte al paradosso di una Sinistra più leale agli USA e ai militari di quanto lo fosse e lo sia il Centrodestra. E per esempio non riuscì nemmeno ad abbozzare una proposta contro il “conflitto di interessi” berlusconiano (anzi, addirittura c’è una famosa seduta parlamentare, immortalata su YouTube, in cui Luciano Violante rassicura Berlusconi: «le abbiamo dato la garanzia che non le avremmo toccato le televisioni»…!).
Se il candidato fosse Nichi Vendola, la sua “soggettività omosessuale” — che ne fa un personaggio ammirato, sì, ma allo stesso tempo contrastato — come si concilierebbe con certe ali del PD, con Di Pietro, Castagnetti e Rosi Bindi, in un Paese in cui la Chiesa e l’ipocrisia cattolica sono decisamente schierati? Vendola peraltro governa la Puglia, una regione importante del Mezzogiorno italiano in cui non sembra affatto che in questi ultimi cinque anni siano state invertite — o quantomeno scalfite — le condizioni di vita di chi lavora o di chi un lavoro non ce l’ha: la Sanità è stata stritolata da affari e corruzione incredibili, la disoccupazione resta altissima, c’è una forte e sviluppata criminalità organizzata… Come si può tuttora proporre una linea “di lotta e di governo”, a fronte di tanti guasti, di tante illusioni profanate?
L’Italia, al pari dell’Europa e di gran parte del mondo, è immersa in una macrocrisi economica; le responsabilità dell’attuale stato delle cose sono più che evidenti: la finanza, le banche, i loro legami inestricabili con il sistema delle imprese e delle multinazionali, prelevano risorse sempre più ingenti dalla spesa pubblica scaricando i costi su chi lavora. A Pomigliano d’Arco si è vista all’opera questa visione della politica e della società con lo stile arrogante e padronale di Marchionne, uno che Fausto Bertinotti era riuscito a definire «esponente di spicco della borghesia buona con cui si può realizzare un compromesso sociale» (!). Com’è possibile governare componendo gli interessi degli operai di Pomigliano con quelli dei Marchionne, delle Marcegaglia, delle grandi banche e della finanza italiana, da sempre ammalata di nanismo e sempre più isterica di fronte alla concorrenza internazionale (perché senza più l’ombrello della svalutazione della Lira), con industrie che, buone ultime nel mondo, hanno scoperto che traslocare all’Est è vantaggioso — e hanno cominciato a farlo in massa, grazie alla mancata opposizione di un sindacato anacronistico che ormai pensa solo ai propri privilegi?
Il Centrosinistra ha una tradizione politica che ha sempre fatto della democrazia partecipata, del pluralismo, della complessità e della “fatica della democrazia” un punto chiave del proprio agire politico. Un candidato che venga fuori da una simile cultura, però, da alcuni anni è sottoposto alla finzione delle “primarie”, che scelgono una persona e non un progetto: davvero si può pensare che il ruolo carismatico di un “capo”, il leaderismo, sia compatibile con una crescita democratica della società e con una reale partecipazione? Basta davvero andare a votare alle primarie per sentirsi “rappresentati”?
Non solo. L’Italia fa parte dei vari G8 e G20, checché se ne dica è la settima “potenza mondiale”. È possibile rappresentare le ragioni di quella generazione che nel 2001 vide Carlo Giuliani ucciso e gli occupanti della scuola Diaz picchiati dalla polizia, e al contempo sedere al G8? In altre parole, provenendo da sinistra, è possibile far parte del consesso mondiale che è stato — e resta — il principale bersaglio della contestazione delle nuove generazioni? Insomma, si può fare politica “componendo gli opposti”?
Per vincere le benedette primarie, il candidato-premier di una coalizione alternativa a Berlusconi dovrebbe trovare una composizione e una sintesi con le idee e gli interessi materiali dell’attuale Centrosinistra, cioè lo schieramento che governa le “regioni rosse”, che ha una base di riferimento nelle Cooperative, che si contende con la Lega Nord (attualmente, perdendo pesantemente!) larga parte dei ceti professionali e manageriali del Settentrione, che esprime personaggi di estrazione moderata come Penati e Chiamparino che nella loro esperienza di governo a Milano e Torino hanno fatto di tutto per assomigliare al Centrodestra (per tacere di ciò che è successo nella Campania del ras Bassolino). Non solo: dovrebbe trovare una composizione e una sintesi con le idee e gli interessi dei ceti di estrazione cattolica benpensante, che su unioni e libertà civili, o su sessualità e famiglia, o ancora sull’immigrazione, tengono alta la guardia; e con i ceti di estrazione clientelare ampiamente radicati al Sud — dove, spesso, ci sono punte di contiguità con la malavita —. Come si può miscelare tutto questo, non tanto in una ipotesi di governo (quello si riesce sempre a farlo, basta vedere gli inciuci dei Prodi, D’Alema, Berlusconi) quanto in un’idea di società, in una visione che abbia un certo interesse e che davvero contribuisca al cambiamento? (Quale sarebbe l’idea di società di Vendola? Chi scrive non l’ha mica capito… ma magari è ancora troppo presto… anche se un progetto andrebbe presentato prima di presentare se stessi, non dopo… boh!)
Questo Paese è pietrificato, diretto da caste e classi sociali che difendono con le unghie privilegi ancestrali ed evasione fiscale; una nazione monopolizzata da apparati di potere — confindustriali, clericali, istituzionali, accademici, sindacali, massonici, burocratici — che hanno ben saldo il controllo dello Stato e delle “cose pubbliche”. Tutto questo può essere incrinato semplicemente da una spinta popolare che innalzi una candidatura personale? Non ci sarebbe invece bisogno di una consapevolezza nuova, di un blocco sociale coeso e convinto delle proprie ragioni, organizzato, capace di scontrarsi con le caste, di resistere, di trascinare dalla propria parte gli indecisi e alla fine prevalere?
Insomma, non ci sarebbe bisogno di una piccola grande rivoluzione?
Cosa ci si può invece aspettare dalle primarie del Centrosinistra, se non un ennesimo Prodino, un Veltronino, un Rutellino — con tutto il rispetto per queste persone, ci mancherebbe —, cioè l’ennesima vittima sacrificale di uno schieramento senza alcuna personalità o organizzazione o progetto?
Spero di sbagliarmi, perché non ne posso più del puttaniere e dei suoi Sacconi, Scajola, Bossi e compagnia cantante (su musiche di Apicella): ma per l’alternativa, francamente sui rossi la vedo nera…
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