Oily way 4: non vorrei essere monotono, ma…

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IL MISTERO DEL PREZZO DELLA BENZINA. MISTERO?
Tra le società che l’anno scorso hanno guadagnato più utili in assoluto a livello mondiale figurano al primo e al secondo posto, nella classifica di Forbes, due major petrolifere: ExxonMobil, con 45,2 miliardi di dollari, e Chevron, con 23,9 miliardi.
Siamo da un pezzo nel bel mezzo della più pesante crisi del dopoguerra. Eppure continua l’eterna questione della doppia velocità di adeguamento dei prezzi dei carburanti con i corsi del petrolio. E le domande che si rincorrono sono sempre le solite: perché i rincari del greggio scattano quasi in simultanea sui listini di benzina e gasolio, mentre i ribassi sono più lenti (eufemismo!) a manifestarsi? Di più: com’è possibile pagare un litro di benzina 1,27 euro con il barile di greggio a 66 dollari (al 1˚ giugno 2009), quando, nel luglio dell’anno scorso con il valore del barile più che doppio a quota 144 dollari, per un litro della stessa benzina si pagava poco più di un euro e mezzo (1,53)? Non sono solo le associazioni dei consumatori a lanciare accuse di speculazione nei confronti dei petrolieri: anche un ministro della Repubblica adesso vuole vederci chiaro. Due giorni fa, 10 giugno 2009, nel sancta sanctorum delle compagnie riunite dall’Unione petrolifera per l’assemblea annuale, Claudio Scajola, responsabile dello Sviluppo economico, ha detto chiaro e tondo che intende «chiedere conto all’industria petrolifera dell’andamento dei prezzi della benzina alla pompa».

La struttura del prezzo di un litro di carburante è determinata per il 40% dal costo industriale e per il restante 60% dalle componenti fiscali (accise e Iva). Il costo industriale, che pesa per meno della metà sul prezzo finale alla pompa, è a sua volta la somma di costi come la materia prima (benzina o gasolio in base alle quotazioni “Platts”), trasporto, stoccaggio, raffinazione e margini per il benzinaio. A questo punto risulta più facile comprendere un aspetto non secondario: quando si verificano aumenti o diminuzioni delle quotazioni del petrolio, si intendono variazioni che incidono solo su circa il 30% del prezzo finale al consumo. E, per essere più precisi, più che del petrolio andrebbero analizzate puntualmente le quotazioni Platts (un’agenzia indipendente basata a Londra) relative al greggio raffinato, benzina o gasolio, espresse in dollari per tonnellata, che vengono elaborate sulla base del rapporto domanda-offerta.
Se margini di guadagno o di speculazione (a seconda dei punti di vista) ci possono essere, vanno dunque ricercati all’interno di queste voci che compongono il costo industriale. In particolare nelle quotazioni Platts.

Nella situazione di crisi attuale, gli impianti di raffinazione hanno ridotto la produzione in modo da far salire i prezzi, dopo aver stoccato, nei mesi passati, barili di petrolio a basso prezzo (a dicembre 2008 è stato raggiunto il minimo di 34 dollari al barile e fino ad aprile 2009 il greggio si è mantenuto sotto i 50 dollari). Un ulteriore approfondimento, che sicuramente farebbe emergere curiose scoperte, potrebbe essere fatto anche a proposito del fattore cambio, dal momento che le compagnie europee comprano il petrolio in dollari, e rivendono in euro i prodotti raffinati, benzina o gasolio.
Inoltre, al di là delle tensioni degli ultimi giorni, analizzando lo specifico del mercato italiano si possono scoprire altre novità interessanti. Tanto per cominciare, i consumi dei carburanti per autotrazione sono in caduta verticale e nei primi quattro mesi del 2009 il deficit, rispetto allo stesso periodo del 2008, è di oltre 770 mila tonnellate. Questo costringe un po’ tutte le compagnie a proporre campagne con sconti significativi e in modalità differenziate — almeno, le logiche del “mercato” dovrebbero dire questo, e i comunicati stampa delle compagnie questo affermano.

Ma allora dov’è l’inghippo?! Chi ci sta fregando?

Ministro Scajola, per favore, ora che finalmente ti sei mosso anche tu: attendiamo tutti la tua risposta! Ma che sia una risposta sensata, accidenti!

Nota a margine — Nella commedia delle parti che ogni volta fa da contorno all’aumento del prezzo della benzina non si riesce mai a trovare una “pistola fumante”. Gli automobilisti se la prendono con i gestori degli impianti, i benzinai dànno la colpa alle compagnie petrolifere, queste ultime la scaricano sullo Stato e sulle sue tasse. È una rete di interessi e collusioni che si è storicamente basata sull’assenza di concorrenza, il sistema dei carburanti che si è trascinato fino a oggi e che ha fatto comodo a tanti, da quella minoranza di gestori che ha approfittato degli esodi estivi e delle feste comandate per i ritocchi dell’ultima ora, a quei benzinai che preferiscono rimanere per la stragrande maggioranza sotto il rassicurante ombrello dei grandi marchi (e dei 5 centesimi al litro garantiti) piuttosto che affrontare il rischio di diventare piccoli imprenditori, fino alle compagnie che giostrano con le loro scorte e con i tempi degli aumenti o delle diminuzioni di prezzo, le “sorelle del petrolio”, attive dal pozzo alla pompa di benzina, ispirate ai modelli del Nord Europa (meno impianti, più grandi, tanto self service), che spesso lavorano insieme con profonde collusioni nel sistema dei depositi (e lungo questa catena decidono di spostare i margini dove fa loro più comodo) e che si guardano bene dall’allentare la presa sulla distribuzione. La mano pubblica ci mette pesantemente del suo: niente di più facile, per fare cassa, di un aumento delle ormai famigerate “accise”.
Comodo, tutto molto comodo e senza impicci: con qualche bilanciamento ad hoc per placare i più colpiti (gli autotrasportatori), a sopportare il peso sono sempre e solo i “semplici cittadini silenti”.

Dunque è un teatrino con troppi attori, e siamo d’accordo. Ma proprio qui risiede la peggiore pietra di scandalo, la “complicità istituzionale”: in breve, lo Stato italiano “sopporta” che i petrolieri gonfino sempre di più la fetta di prezzo alla pompa che spetta loro (circa il 40%), in cambio del flusso costantemente alto di cash flow nei conti dissestati dell’Italia. Più si alza il prezzo finale, più guadagna lo Stato. In altre parole, lo Stato è DOPPIAMENTE DISONESTO con i suoi cittadini e con le sue imprese, perché oltre alla tassazione più elevata del mondo in proporzione al Pil, prelevata attraverso Irpef, Iva e le altre sigle alla luce del sole, li tassa ulteriormente “di nascosto” lucrando in misura indegna sul prezzo alla pompa — senza contare che quella tassa occultata va ad incidere massicciamente sull’economia interna del Paese, visto che una discreta share del costo vivo delle merci è determinata dal carburante che serve per muoverle —. E tutto questo in una penisola ove peraltro la movimentazione su gomma/strada è sempre stata premiata (86% del totale, contro il 45% della Germania, il 48% della Gran Bretagna, il 50% della Francia) a scapito di mezzi più vantaggiosi come i treni e le navi (la cosa si chiama “intermodalità“: per chi non sapesse cos’è — per esempio, i politici italiani —, lo spiega bene Wikipedia…).

Perciò, hai voglia a lamentarci: se lo Stato è il primo a trovare conveniente il sistema…

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