Spe Salvi. Nazinger pensa di colpire ancora, ma “spara a salve”

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Marxismo e illuminismo sono «speranze terrene fallite». La «ragione staccata da Dio» e la «scienza senza etica» non redimono l’uomo. La seconda enciclica di papaRatzi/Nazinger/Benedetto XVI, Spe salvi, spara alto.
«Non sorridete / gli spari sopra / sono per voi» cantava Vasco Rossi…

“Spe salvi”: da San Paolo, «spe salvi facti sumus», siamo salvati grazie alla speranza.
Spara a salve, direi piuttosto!
Joseph Nazinger critica Marx per il suo “errore fondamentale” (una critica radicale della pretesa marxista di realizzare il “regno di Dio” in terra nell’ambito di una visione puramente materialista, che in ultima analisi non tiene conto della libertà dell’uomo) ma gli riserva parole di inusitato apprezzamento «per la sua vigoria di pensiero e acutezza di analisi». E questa è l’unica “apertura di pensiero” che il papa concede nell’intero testo. Poi imputa alla filosofia successiva a Francis Bacon di aver trasferito alla teologia il “collegamento tra scienza e prassi”, così che la fede è stata spostata sul piano privato ed è diventata irrilevante per il mondo: la «crisi della fede è soprattutto crisi della speranza cristiana», soppiantata dalla fede nel progresso e dalla ideologia del progresso.

Dimentica, papaRatzi, la lezione di un certo Galileo Galilei.
Il povero (e cristianissimo!) Galilei scrisse una lettera a Padre Benedetto (sic!) Castelli nel 1613: vi espose la sua concezione di cristiano e scienziato che rivendicava l’autonomia della Scienza dalla Religione. In essa Galilei conclude che scienza e fede non interferiscono affatto, dato che lavorano su piani separati: la fede parla ed opera sul piano metafisico del mondo, mentre la scienza sul piano fisico.Nella visione galileiana esistono due “libri”, che sono in grado di rivelare la stessa verità, anche se attraverso due diversi campi: uno è la Bibbia, che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell’anima, scritto in termini scientificamente approssimativi per il volgo, l’altro è l’universo (cioè la Natura), che, a differenza del primo, va letto in maniera scientifica e quindi, per essere ben interpretato, deve essere studiato oggettivamente. Secondo Galileo, i due libri, essendo opera di un unico Autore, non possono contraddirsi: la sua visione della verità non era dunque antireligiosa e atea; al contrario, Galileo fu uno dei primi scienziati a voler conciliare le verità scientifiche con le verità di fede, senza intaccare minimamente né le une né le altre. La lettera al Padre Castelli suscitò però polemiche violentissime e sarcastiche da parte del clero fiorentino, totalmente conservatore, tali che Galilei si vide costretto a fare pubbliche manifestazioni di Cattolicesimo e ad accorrere perfino a Roma, per difendere in ambienti curiali la propria opera di scienziato credente. Beh, dopo decenni di polemiche ed un processo, la Chiesa costrinse Galilei all’abiura, censurò le sue scoperte e condannò all’indice le sue opere — assieme a quelle di Copernico — fino al 1823, e fu solo nel 1992 che Giovanni Paolo II ritirò la condanna della Chiesa cattolica allo scienziato: il papa polacco — grande mentore di Nazinger — pubblicamente riconobbe la validità e verità scientifica delle teorie di Galileo Galilei e chiese scusa, da parte della Chiesa, per avere ingiustamente condannato non solo il fondatore della scienza moderna ma indiscutibilmente una delle menti più brillanti, geniali e serie del millennio.
A cosa è servito, tutto questo? A nulla: oggi Nazinger azzera la lezione di Galilei e Wojtyla e torna indietro di quasi 5 secoli a dar ragione al clero fiorentino che diede addosso al sommo scienziato.

Ma andiamo avanti. L’enciclica accenna quindi ai due «grandi temi ‘ragione’ e ‘libertà‘», per rilevare che «la vittoria della ragione sull’irrazionalità è anche uno scopo della fede cristiana» ma che «la ragione non può essere staccata da Dio» e che «la ragione del potere e del fare non può essere considerata già la ragione intera». La ragione diventa veramente umana — rimarca il Pontefice — «solo se è in grado di indicare la strada alla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa». Se la ragione non è in grado di guardare oltre se stessa, «la situazione dell’uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudizio del cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato».
Ossia, Nazinger qui ci vuole dare lo stesso messaggio di Susanna Tamaro: «va’ dove ti porta il cuore». Però pretende che il “giudizio insindacabile del cuore” sia prima sottomesso al dogma cristiano. Mentre invece la cosa funziona proprio al contrario — dovrebbe essere il cuore a decidere di credere nel dio cristiano, e non viceversa —. E in ogni caso: in tutto questo, che fine fa il libero arbitrio (il quale dipende dalla Ragione) che il Creatore ci avrebbe fornito? E soprattutto, perché mai ce lo avrebbe fornito? Non poteva dotarci invece di “un cuore che comandasse”? Boh! Andiamo oltre.

Per quanto riguarda la “libertà“, «bisogna ricordare che la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà» e che «questo concorso non può riuscire se non è determinato da un comune intrinseco criterio di misura, che è fondamento e meta della nostra libertà». Dietro questa tautologia papaRatzi vuol significare che «l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza», poiché questo fantomatico “comune intrinseco criterio di misura” può darlo (e te pareva!) solo Dio. E scomoda Kant: «un regno di Dio realizzato senza Dio, un regno quindi dell’uomo solo, si risolve inevitabilmente nella fine perversa di tutte le cose descritta da Kant». Accidenti! Ma Nazinger si ricorda il massimo detto di Kant? «Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto»… Evidentemente no! Kant diceva l’opposto, però Benedetto XVI confida nella nostra immane ignoranza. Ma portiamo pazienza e proseguiamo, anche se già così si è fatta dura…

Nella “Spe salvi” il Papa parla anche del Giudizio Universale. Uhi, uhi, uhi: «esiste il Giudizio Finale di Dio e non sarà quello dell’iconografia minacciosa e lugubre dei secoli scorsi, ma nemmeno un colpo di spugna che cancella tutto»; esso «chiamerà in causa le responsabilità di ciascun uomo». (Uff!, temevamo peggio!). Morale: il Giudizio Finale c’è, state tranquilli che c’è; magari ci evitiamo la battaglia di Armageddon, però il Giudizio avrà luogo, checché ne dicano Di Pietro o Mastella o Piercamillo Davigo.
Ma con i “miti duri a morire” il meglio viene dopo: Nazinger riafferma l’esistenza dell’Inferno e perfino del Purgatorio (la dottrina del Purgatorio venne definita dal Concilio di Lione del 1274, da quello di Firenze del 1438 e infine ribadita nel Concilio di Trento, nel 1563: né la Bibbia né il Nuovo Testamento ne parlano, è un’invenzione del testo apocrifo “Il Pastore di Erma” del II Secolo, ndr) e lega il motivo della speranza cristiana proprio alla giustizia divina. Parole dure: «I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato». E anche: «La questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna». Il che è come la famosa domanda del pesce rosso nella boccia: «Ci dev’essere per forza, un Dio: altrimenti, chi è che cambia l’acqua?». In altri termini, come disse la Fiat in un famoso spot: «Panda, se non ci fosse, dovremmo inventarla». È il “bisogno di Dio” a provare che Dio esiste! Niente male, come dimostrazione.

Insomma, un disastro.
Siamo alle solite. Nazinger non esita a riesumare tutti gli stereotipi dell’oscurantismo cattolico — tipo il Giudizio, il “banchetto eterno” (come se l’Aldilà fosse una gozzovigliata senza fine!) e perfino il Purgatorio — pur di far fronte alla propria ansia per un Occidente religiosamente tiepidino. L’idea di un cristianesimo individualista, che si rifugia in una dimensione di salvezza unicamente privata, lo terrorizza più di ogni altra cosa.
«L’unica vera novità della storia è Cristo» sono state le prime parole pronunciate dal papa affacciandosi alla finestra del palazzo apostolico per l’Angelus, due giorni dopo. «E la storia chiede di essere costantemente evangelizzata; ha bisogno di essere rinnovata dall’interno». Tutto l’impianto teologico e filosofico della “Spe salvi” ruota intorno alla necessità primaria di Nazinger di bloccare la secolarizzazione della chiesa e il laicismo sempre più dominante.
«In che cosa consiste questa speranza, così grande e così affidabile da farci dire che in essa noi abbiamo la salvezza? Consiste in sostanza nella conoscenza di Dio, nella scoperta del suo cuore di Padre buono e misericordioso. Gesù, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, ci ha rivelato il suo volto, il volto di un Dio talmente grande nell’amore da comunicarci una speranza incrollabile».
Fatale dimenticanza, per un papa che vuole “riscaldare i cuori dei credenti”: nel quadretto che per l’ennesima volta il dogma cristiano ci vorrebbe consegnare per salvarci, quel “padre buono e misericordioso” non solo ha permesso che “suo figlio” venisse ucciso nel modo infelice che tutti conosciamo e che è divenuto il marchio (la croce) più famoso della Storia, ma ha permesso che nel suo nome venissero commesse le più grandi atrocità (è qui superfluo citare ancora una volta Auschwitz, le Crociate o le altre amenità).

Credo sia proprio questo, il motivo di fondo per cui papaRatzi/Nazinger ce l’ha tanto con la “ragione”: di fronte alle assurdità del dogma, il raziocinio tende a comunicare all’uomo che la fede è una stronzata colossale. Meglio invitare il gregge a spegnerlo, il cervello.

Nazinger non è nemmeno sfiorato dall’idea che magari nel Terzo Millennio la famosa “fede” abbia ormai bisogno di un restyling, per convincere — e “salvare” — esseri umani che non vivono più al tempo dei maghi e dei draghi. Come si fa, maneggiando computer e sofisticati medicinali, Bancomat e televisione, viaggi nello spazio e gps, a credere ancora alle camminate sull’acqua e alle resurrezioni?


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