Pietro Ingrao fornisce un’interpretazione minimizzante sull’ultima leva di brigatisti: «quattro sciaguratelli».
Ingrao, Mussi, D’Alema e gli altri sono affetti da un male incurabile: la Nostalgia.
Dovrebbero invece interrogarsi su come mai l’Italia sia l’unico Paese europeo che negli anni Settanta ha avuto un terrorismo di massa (alcune migliaia di persone fra clandestini, fiancheggiatori, simpatizzanti, etc.) dove poi, pur battuto e stroncato, il fenomeno si sia riprodotto — sul terreno dei gruppuscoli, dei nuclei ristretti, tutta roba minimizzata, sì, che però ha provocato nuovi lutti —. Alcuni degli ultimi obiettivi (i riformisti del lavoro Biagi e D’Antona) sicuramente sono stati indicati — e culturalmente attaccati — da menti raffinate e perverse che sono tuttora a piede libero.
Nessuno può negare che il “terrorismo di massa” sia stato il frutto della congiunzione di due filoni: quello della componente vetero-comunista del PCI, che aveva coltivato il mito della “resistenza rossa tradita”, e quello alimentato dall’esplosione movimentista del ‘68 e del ‘77 che produsse un mucchio di cose — poche affascinanti, molte negative — fra cui la deriva terrorista di alcuni gruppi. Successivamente il fenomeno terrorista come “partito armato”, costituito da centinaia di persone, fu stroncato dall’azione congiunta di governi, forze dell’ordine, magistratura, oltre che dallo stesso PCI insieme alla CGIL. Però il fenomeno, malgrado l’apparente secca sconfitta, insieme militare e politica, si è dipanato fino ai giorni nostri e ha ormai di nuovo assunto caratteristiche assai significative. Non è un caso che mentre il nucleo assassino che ha tolto la vita a D’Antona e a Biagi era di poche unità, quello venuto alla luce adesso ha una maggiore consistenza numerica e si è diramato nei centri sociali, nel sindacato, nei movimenti “resistenti” e “disobbedienti”. Questa “seconda posizione” si fonda proprio su tale “riflusso storico”: i “rivoluzionari” nuotano come pesci nell’acqua dei movimenti sociali, puntano a radicalizzarsi, fanno proselitismo, scelgono bersagli che nella loro logica aberrante potrebbero suscitare il “consenso” delle masse. E fanno tutto questo dai terreni della Sinistra Nostalgica.
Può piacere o no, ma lo spazio che la sinistra ufficiale ha lasciato in questi anni alla sinistra estrema ha contribuito ad abbassare la guardia nei confronti dei violenti e dei terroristi. I bersagli politici dell’estremismo degli ultimi anni si sono “polarizzati”: per un verso Berlusconi, per l’altro verso i “riformisti del lavoro”. Qualcuno ha pensato di tradurre le parole in proiettili. Il “Cavaliere” finora è rimasto un bersaglio “potenziale” solo grazie alla consistenza della sua scorta; fra i “riformisti del lavoro” si sono salvati quelli scortati, mentre D’Antona e Biagi — quest’ultimo per di più vittima di un terribile errore — sono stati assassinati.
La CGIL, oggi così “toccata”, deve fare una riflessione assai attenta, deve interrogarsi sulle ragioni non banali degli inserimenti e delle infiltrazioni. Prima della “vigilanza burocratica” dei servizi d’ordine occorre la vigilanza culturale-ideologica-politica. Una delle caratteristiche della CGIL in questi anni è stata invece proprio quella di aver aperto le porte a tutti, riformisti, massimalisti, corporativisti, estremisti. E l’estremismo, verbale e pratico, è il brodo di coltura del terrorismo. Quando la CISL firmò il “patto per l’Italia” e polemizzò con la CGIL, quell’organizzazione sindacale fu oggetto di una serie di atti di violenza: è più che evidente che un’area di violenti era collocata dentro i confini della CGIL. Dunque il più grande sindacato italiano ha le sue belle responsabilità, nel riesplodere del fenomeno brigatista. Ma sarebbe un errore limitarsi a serrare i ranghi sindacali.
Dall’estremismo violento al terrorismo il passo era e rimane arduo; è lampante però che alcuni nuclei di persone di volta in volta continuano a compierlo con apparente facilità. Nei “mitici anni Settanta” erano in migliaia. Oggi sono ancora solo decine. Ma il meccanismo riproduttivo si è rimesso in funzione. E questo è un autentico dramma! Perché l’Italia degli “anni di piombo” veniva dal boom del dopoguerra e aveva solide radici morali ed economiche, quella di oggi è in balìa del debito pubblico e del vuoto ideologico! Proviamo a curare dalla bronchite una persona che non ha mai fumato, e proviamo invece a curare dalla bronchite una persona che fuma 2 pacchetti al giorno da quarant’anni…
I D’Alema, i Bertinotti, i Mussi, i Diliberto «Berlusconi-mi-fa-schifo», gli Ingrao «sono-quattro-sciaguratelli», facciano un serio esame di coscienza e la smettano di vivere ancora negli anni “di lotta in piazza”: il problema che si prospetta all’orizzonte dell’Italia non è la CGIL, e non è nemmeno Berlusconi.
Siamo già un Paese incamminato sulla strada del Terzo Mondo. Siamo già, nella vita pratica di tutti i giorni e non in quella simulata dai media, un Paese al livello dell’Argentina o della Slovenia o della Repubblica Ceca (con tutto il rispetto per gli argentini e gli sloveni e i cechi), anche se il Made in Italy ci dà ancora l’illusione di essere nel “club” dei vari Canada, Francia e Inghilterra! E dopo le tasse quadruplicate, la deregulation, l’immigrazione e l’introduzione dell’euro, adesso ci mancava pure il ritorno delle Brigate Rosse!
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